Davide Casaleggio (foto LaPresse)

Casaleggio, l'uomo più potente d'Italia

Luciano Capone

Ha in mano il primo partito, ma conosciamo davvero l'eminenza grigia del M5s? Se lo chiedono i giornali stranieri, poco la stampa italiana. Il potere dei dati, il controllo del movimento, la genesi minacciosa di Rousseau, i cronisti cacciati e i conti della Casaleggio Associati. Un’inchiesta

Quanto conosciamo l’uomo più importante del primo partito italiano? Non parliamo di Luigi Di Maio, onnipresente su giornali, social network e talk-show televisivi, di cui sappiamo praticamente tutto, dal percorso politico a quello professionale e universitario, ma di Davide Casaleggio. Di sicuro sappiamo che è una persona riservata, silenziosa, a cui non piace apparire e che preferisce lavorare dietro le quinte, attraverso la Casaleggio Associati e l’Associazione Rousseau, le due società di cui è socio-proprietario e presidente. Il New York Times l’ha definito il “Mago di Oz” del movimento, “l’uomo misterioso che gestisce nell’ombra il M5s”: “Potenzialmente è l’uomo più potente d’Italia, eppure sono in pochi a sapere chi è – ha scritto il giornale americano –. Gli ambasciatori stranieri lo cercano, anche se non ricopre nessun incarico pubblico. Afferma di essere un semplice iscritto che offre volontariamente e gratuitamente assistenza tecnica, ma i suoi detrattori dicono che lui e la sua piccola società di Milano controllano i voti, i candidati e le politiche del primo partito del paese”. Sugli aspetti poco chiari della governance del movimento, sulla democrazia interna e sulle violazioni informatiche che riguardano la piattaforma di democrazia diretta, il Nyt ha provato a fare qualche domanda al diretto interessato, ma non ha ottenuto alcuna risposta: “Il signor Casaleggio ha rifiutato le ripetute richieste per un’intervista, spiegando che non si fida dei giornali”. La stessa cosa era accaduta nel settembre 2017 con il Financial Times, che aveva pubblicato un articolo sui conflitti d’interesse e sui lati poco trasparenti del suo ruolo nel movimento intitolato “M5s: le domande senza risposta sul partito populista italiano”, proprio perché Casaleggio si era rifiutato di parlare con i giornalisti inglesi.

 

Il silenzio è una delle sue migliori qualità. Non è che sia muto. Comunica spesso, ma decide lui di cosa parlare, dove e con chi

Il silenzio è sicuramente una delle sue migliori qualità. Nessuno prima di Casaleggio nella politica italiana è stato così abile ad aggirare, schivare ed evitare di rispondere. Non è che sia muto. Comunica spesso, ma decide lui di cosa parlare, dove e con chi. Altrimenti resta in silenzio. Un caso emblematico è avvenuto di recente. Il 20 marzo Davide Casaleggio scrive un intervento sul Washington Post in cui spiega le motivazioni del successo elettorale del M5s, elogia la “democrazia diretta”, la portata innovatrice della piattaforma Rousseau e l’efficienza rivoluzionaria del movimento: “La nostra esperienza è la prova di come la Rete abbia reso obsoleti e diseconomici i partiti”. “Ogni singolo voto ci è costato 8 centesimi di euro – scrive Casaleggio –. E fa specie pensare che ai partiti tradizionali, invece, ogni singolo voto è costato fino a cento volte di più”.

 

E’ riuscito a farsi intervistare dal più importante quotidiano nazionale senza rispondere alle domande del suo vicedirettore

Ma siccome ci troviamo a pochi giorni dall’esplosione del caso “Cambridge Analytica”, ovvero dalla scoperta che una società di web e data marketing ha raccolto e poi utilizzato illecitamente dati sensibili da Facebook per scopi politici, il vicedirettore del Corriere della Sera Federico Fubini scrive un articolo in cui si interroga sulla mostruosa efficienza economica della campagna elettorale grillina e pone alcune domande alla Casaleggio Associati. Senza poter parlare con il presidente, ma attraverso l’ufficio stampa, Fubini chiede se il M5s abbia speso soldi per le inserzioni su Facebook e la risposta dell’ufficio stampa è negativa (“Siamo l’unica forza a non aver speso soldi per la pubblicità in rete a livello nazionale”). Poi chiede se la Casaleggio ritenga legittimo usare metodi di “profilazione” e “targeting” degli elettori per lanciare messaggi mirati a gruppi specifici, proprio come fanno con i clienti molte aziende in rapporti con la Casaleggio Associati. Nessuna risposta. E infine Fubini, sempre attraverso l’ufficio stampa, fa chiedere a Casaleggio se in campagna elettorale sia possibile utilizzare banche dati di origine commerciale (quelle che verosimilmente la Casaleggio Associati utilizza nella sua attività) e se la sua azienda o il M5s lo abbiano fatto. “Di nuovo, nessuna risposta”. Silenzio. Ma mentre per tutti i politici le mancate risposte attirano altre domande, con Casaleggio è diverso. Le domande gli scivolano addosso e svaniscono nel nulla. Pochi giorni dopo l’articolo di Fubini, sempre sul Corriere della Sera c’è un’ampia intervista a Davide Casaleggio in cui si parla di tutti gli argomenti più cari a Casaleggio, dal “rispetto della volontà popolare” alla kermesse di sabato a Ivrea in memoria del padre e ovviamente di “riflessioni sul futuro”, tecnologia e “blockchain”. Se pochi giorni prima mancavano le risposte di Casaleggio alle domande di Fubini, nell’intervista a Casaleggio a mancare sono proprio le domande di Fubini. E’ questa la grande qualità di Casaleggio: non solo la capacità di non rispondere alla stampa internazionale, ma anche quella di farsi intervistare dal più importante quotidiano nazionale senza rispondere alle domande del suo vicedirettore.

 

D’altronde Davide Casaleggio, nonostante non si fidi dei media, è stato trattato molto bene dagli organi di stampa italiani. L’anno scorso, proprio in occasione della prima convention di Ivrea in ricordo di suo padre, ci fu la prima intervista televisiva di Davide Casaleggio a “Otto e mezzo” su La7. Per ottenerla e cercare di fargli uscire di bocca qualche dichiarazione interessante, fu organizzato un salotto molto confortevole, senza contraddittorio.

 

Nell’ultimo periodo di vita Gianroberto organizzava incontri in cui introduceva il figlio a tutti i suoi interlocutori, attribuendogli un ruolo sempre più rilevante

Ospiti il sociologo Domenico De Masi, che da poco era stato ingaggiato dal M5s per una ricerca, e il giornalista Gianluigi Nuzzi, amico di Davide e conduttore della kermesse in onore del padre nonché marito della fondatrice di Visverbi, la società che organizzava l’evento di Ivrea e che ora cura l’ufficio stampa della Casaleggio Associati. Neppure lo sforzo di Lilli Gruber di fornire un ambiente ovattato servì a tirar fuori qualcosa di interessante. Solo risposte generiche sui principi del movimento e di elogio della democrazia diretta, oppure evasive: “Se parla del M5s, questo è un tema che esula dal tema della giornata perché oggi volevo parlare della convention”, “Cosa ha votato in passato? Diverse formazioni, ma non le dirò quali”. In modo amaro e sincero la stessa Gruber commentò in diretta: “Stasera vi stiamo facendo un mega spottone”.

 

Se fino a poco tempo fa risolvere l’“enigma Casaleggio” poteva sembrare un’ossessione delle persone impegnate ad analizzare e studiare il mondo grillino, ora che il M5s è il primo partito e lui, come dice il Nyt, “potenzialmente l’uomo più potente d’Italia”, è una questione democratica. Per capire il ruolo centrale e, per certi versi assoluto e insostituibile, di Davide Casaleggio nel M5s bisogna partire dall’inizio o quantomeno dall’inizio della sua ascesa. Tra alcune persone vicine a Gianroberto Casaleggio, legate ai principi e agli ideali del movimento delle origini, c’è quasi la convinzione o la sensazione che quella di Davide sia stata un’opa ostile: “Gianroberto aveva l’ossessione che il movimento potesse essere scalato, ma non si è accorto che chi preparava la scalata era nella stanza a fianco”, dicono. Davide era nell’azienda di famiglia ma aveva sempre avuto un ruolo marginale nel movimento, non compariva ed era praticamente uno sconosciuto per molti eletti: a un certo punto, questa sarebbe la tesi, è come se le condizioni difficili di salute del padre avessero accelerato la traiettoria per scalare il partito attraverso un patto con alcuni eletti sull’asse Milano-Roma. E’ una teoria che forse tende a dividere il movimento delle origini (puro) da quello attuale (ormai corrotto o compromesso), la figura del padre nobile Gianroberto da quella del cinico erede Davide, ma che non trova molti riscontri. In realtà le cose sono andate quasi all’opposto, la leadership di Davide è stata costruita insieme al padre, il passaggio di consegne in linea ereditaria è stato preparato da Gianroberto e poi certificato con atto notarile, quasi testamentario. Una delle prime occasioni in cui Davide compare con un ruolo politico di primo piano è la scelta in Europa del gruppo parlamentare, si tratta di una trattativa portata avanti essenzialmente da Beppe Grillo e Davide di cui il movimento è completamente all’oscuro – un po’ come avverrà successivamente con il fallito tentativo di passare nel gruppo liberale dell’Alde – e sarà proprio Davide a fare pendere il piatto della bilancia verso il gruppo della destra antieuropeista guidato dall’Ukip di Nigel Farage. Siamo nel maggio 2014 e solo un mese prima Gianroberto si era operato al cervello a causa della malattia che porterà due anni dopo alla sua prematura scomparsa. Da questo momento in poi il padre prepara la successione dinastica. Nell’ultimo periodo di vita Gianroberto organizzava incontri in cui introduceva il figlio a tutti i suoi interlocutori, attribuendogli un ruolo sempre più rilevante: “E’ Davide, già durante tutto l’ultimo anno e mezzo di vita di Gianroberto, che dà l’ok alle comunicazioni che partono dallo ‘staff di Beppe Grillo’; è Davide che tiene i contatti con i consulenti esterni (in particolare lo studio legale Montefusco) – scrive nel libro “L’esperimento. Inchiesta sul Movimento 5 stelle” (Laterza) Jacopo Iacoboni, il giornalista della Stampa a cui due giorni fa è stato negato l’ingresso all’evento SUM#02, organizzato a Ivrea dall’associazione Gianroberto Casaleggio –. E’ Davide che ha in mano e coordina il processo di certificazione delle liste, le espulsioni, e quindi verosimilmente ha in mano le chiavi del server, prima della nascita dell’Associazione Rousseau”.

 

Il potere di Casaleggio jr. è blindato da due articoli dello statuto dell’Associazione Rousseau che consegnano eternamente il ruolo di presidente a uno tra i “Fondatori”

L’Associazione Rousseau, appunto, l’entità che possiede i dati degli iscritti, che gestisce il blog ovvero l’organo ufficiale del partito, tutte le votazioni e le certificazioni delle liste, il cuore e il sistema nervoso di un partito che vive online, presto anche la tesoreria, visto che incasserà oltre 1 milione di euro l’anno di contributi obbligatori da parte dei parlamentari eletti. Ma è la scatola nera del movimento, il contenitore in cui è rinchiuso il primo partito italiano e le cui chiavi sono nella tasca di Davide Casaleggio, nello stesso mazzo con cui apre le porte della sua azienda. La Casaleggio Associati ha annunciato querele e azioni civili contro “tutti coloro che in modo mendace e in mala fede continueranno intenzionalmente e pubblicamente a confondere la predetta società (Casaleggio Associati, ndr) con l’Associazione Rousseau”. Ma in realtà, anche per chi è in totale buona fede, è difficile non confondere i due soggetti. La sede legale dell’Associazione Rousseau è in via Gerolamo Morone 6, la stessa della Casaleggio Associati (anche se a breve dovrebbe essere formalmente spostata a Roma). Il presidente dell’Associazione Rousseau è lo stesso della Casaleggio Associati, ovvero Davide Casaleggio. Il sistema operativo dell’Associazione Rousseau è stato realizzato dalla Casaleggio Associati. Il simbolo dell’Associazione Rousseau è stato registrato della Casaleggio Associati. L’unico dipendente a tempo pieno dell’Associazione Rousseau – il fido Pietro Dettori – è un ex dipendente della Casaleggio Associati. Insomma, le due società sono formalmente distinte ma sovrapposte, come due facce dello stesso Casaleggio. Anche perché in comune hanno il passaggio di proprietà, avvenuto lungo l’asse ereditario.

 

Se è possibile ricostruire la genesi e la struttura di questo soggetto politico – che è un unicum nella storia – è solo grazie ai documenti rivelati dal Foglio e tenuti segreti da Casaleggio: “L’anno duemilasedici, il giorno otto del mese di aprile. In Milano, in una stanza dell’Istituto in via Mosè Bianchi n. 90. Davanti a me, notaio Enzo Sami Giuliano, sono presenti i signori Gianroberto Casaleggio e Davide Federico Dante Casaleggio…”. L’incipit dell’atto costitutivo dell’Associazione Rousseau è fondamentale per capire il contesto in cui si certifica e si consolida il ruolo di dominus del M5s di Davide Casaleggio. Intanto la data: l’8 aprile del 2016. E poi il luogo: l’Istituto Auxologico di via Mosè Bianchi, dove in quei giorni Gianroberto era ricoverato sotto falso nome per esigenze di privacy. Quattro giorni prima della sua morte, avvenuta il 12 aprile 2016 al termine di una lunga malattia, un notaio viene convocato in una stanza d’ospedale per redigere un testamento politico che consegna al figlio il controllo perpetuo del partito per via ereditaria. L’associazione nata con lo scopo di “promuovere lo sviluppo della democrazia digitale nonché di coadiuvare il Movimento 5 stelle” nella sua azione politica, è composta da due sole persone che versano due quote da 150 euro: Gianroberto Casaleggio, che è in fin di vita, e il figlio Davide. Ma lo scopo dello statuto, date le gravi condizioni di salute del padre, è assicurare al figlio il controllo perpetuo e assoluto sull’associazione. E il potere di Casaleggio jr. viene blindato da due articoli – il 6 e il 13 – che consegnano eternamente il ruolo di presidente a uno tra i “Fondatori”. Di fondatori ce ne sono due e dopo appena quattro giorni, in seguito alla morte di Gianroberto, ne resta solo uno: Davide.

 

La presidenza eterna per via ereditaria però non basta, Davide vuole accentrare tutti i poteri del contenitore in cui confluiranno le attività fondamentali del partito. Per farlo ha bisogno di un aiuto. Una settimana dopo la morte del padre, organizza una riunione, sempre tenuta segreta e anche questa rivelata dal Foglio che è entrato in possesso dei verbali, e cambia l’atto fondativo dell’associazione firmato da Gianroberto grazie a due soci-fantasma: i suoi avvocati. Dopo la morte del padre, Davide è l’unico membro di Rousseau e, visto che non esiste in natura un’associazione di una sola persona, per cambiare lo statuto in modo da affidare “la gestione e la rappresentanza della Associazione a un singolo amministratore” ha bisogno di due figuranti. Così il 20 aprile 2016 alle “ore quattordici e minuti trentotto” si presenta nello stesso studio notarile con due nuovi soci, finora occultati: Federico Maria Squassi e Michelangelo Montefusco. Non sono nomi nuovi nella galassia grillina. Sono due avvocati amici di Casaleggio, fondatori dell’omonimo studio legale milanese che inviava ai militanti le lettere di espulsione a seguito dei post scriptum sul blog di Grillo. Squassi e Montefusco entrano in Rousseau per consentire a Casaleggio l’abolizione di un organo collegiale come il Consiglio direttivo e per accentrare tutti i ruoli decisionali in un’unica figura: “Il singolo amministratore ricoprirebbe anche le cariche e le funzioni di Presidente della associazione e Tesoriere, con i più ampi poteri di gestione e di rappresentanza ordinaria e straordinaria” e “senza limitazione alcuna”. Naturalmente è facile intuire chi sia la persona individuata per questo ruolo di sovrano assoluto. L’assemblea approva all’unanimità la nomina di Davide Casaleggio, con la sua astensione: in pratica votano per lui i suoi avvocati. Dopo la riunione, i due legali, entrati in Rousseau su commissione un’ora prima, escono dall’associazione (quando il Foglio ha chiesto spiegazioni allo studio legale, se l’adesione fosse per spirito ideale o in quanto legale di Casaleggio, la risposta dell’avvocato Squassi è stata: “Non c’è niente di nascosto ma non c’è neanche niente di divulgabile, perché fa parte dell’attività professionale che teniamo riservata”).

 

Il primo partito italiano è legato mani e piedi – giuridicamente, economicamente e tecnologicamente – a un’associazione privata su cui non ha nessun potere di indirizzo o di controllo

E’ solo dopo questo blitz, il 25 aprile 2016, che sul blog di Beppe Grillo viene annunciata la nascita dell’Associazione Rousseau con una lettera postuma di Gianroberto Casaleggio, purtroppo inconsapevole che lo statuto da lui firmato è stato stravolto dal figlio pochi giorni dopo la sua morte. E solo il 5 maggio Davide Casaleggio fa entrare nell’associazione due persone in rappresentanza del M5s, il consigliere comunale di Bologna Max Bugani e l’europarlamentare David Borrelli. Ma i due soci hanno il ruolo di figuranti, perché formalmente con quello statuto non hanno alcun potere e sostanzialmente perché l’Associazione Rousseau è Davide Casaleggio. Lo ha confermato al Foglio David Borrelli lo scorso gennaio, pochi mesi prima dell’improvvisa e mai spiegata fuoriuscita dal M5s e da Rousseau: “Non so nulla, sono in quell’associazione perché Beppe mi ha chiesto di esserci, ma è come se non ci fossi. Tutti gli incarichi sono intestati a Davide Casaleggio”.

 

Il passaggio giuridico che ha consegnato definitivamente le chiavi del M5s a Casaleggio è il nuovo statuto del partito, presentato pochi mesi prima delle elezioni, il 30 dicembre 2017. Dice il documento all’articolo 1: “Gli strumenti informatici attraverso i quali l’associazione M5s si propone di organizzare le modalità telematiche di consultazione dei propri iscritti… saranno quelli di cui alla cd. ‘Piattaforma Rousseau’, mediante appositi accordi da stipularsi con l’Associazione Rousseau”. Inoltre, secondo le nuove regole, tutti gli eletti in Parlamento dovranno obbligatoriamente versare una “tassa” da 300 euro al mese nelle casse dell’associazione di Davide Casaleggio. Dopo essersi garantito il controllo eterno sull’associazione, con queste nuove regole Casaleggio si è garantito anche il controllo eterno dell’associazione sul M5s e l’autonomia finanziaria con i soldi degli eletti M5s. Il primo partito italiano è così legato mani e piedi – giuridicamente, economicamente e tecnologicamente – a un’associazione privata su cui non ha nessun potere di indirizzo o di controllo. Il nuovo statuto del M5s prevede una procedura per sfiduciare il capo politico (Di Maio) – che ha anche un limite temporale, non più di due mandati – e anche una per rimuovere il Garante (Grillo), ma non è previsto nessun meccanismo per recidere i legami con Davide Casaleggio e la sua Associazione Rousseau. L’unica soluzione è modificare lo statuto, ma per farlo servono una procedura complicatissima e una maggioranza irraggiungibile. E in ogni caso “la verifica dell’abilitazione al voto e il conteggio dei voti – dice lo statuto – sono effettuati in via automatica dal sistema informatico della Piattaforma Rousseau”. Non se ne esce: a supervisionare e gestire tutto c’è sempre lui, Davide Casaleggio.

 

“Mi sembra qualcosa di inedito – dice al Foglio Damiano Palano, direttore del dipartimento di Scienze politiche all’Università Cattolica –. Il passaggio di consegne è tutto sommato quello che regola la dimensione privatistica della Casaleggio, esportando meccanismi da studio notarile in ambito politico. Di partiti-azienda ce ne sono moltissimi, lo sappiamo bene in Italia, ma in genere chi ha delle funzioni direttive è anche un leader visibile del partito. Per questo il ruolo dietro le quinte di Casaleggio è un’anomalia, non so quanto replicabile all’estero visto che spesso ci sono norme rigorose sul funzionamento e sulle dinamiche interne dei partiti”. La mentalità aziendale è un altro aspetto che emerge spesso negli interventi pubblici di Casaleggio, da ultimo nell’intervento sul Washington Post. I vecchi partiti sono “obsoleti e diseconomici”, spendono 100 volte di più per ogni voto raccolto, mentre noi “garantiamo un servizio migliore e siamo più efficienti”: “Questa è la logica implicita dei partiti degli ultimi 40 anni, che ha dato grande importanza alla funzione comunicativa e alla strategia della campagna elettorale – dice Palano – ma rispetto al passato, qui c’è anche la capacità di selezionare la leadership del partito. Di solito è il contrario: è la leadership politica che controlla la struttura e la seleziona. In questo caso è il contrario, la macchina comunicativa seleziona la leadership. E’ un salto di qualità”.

 

“Di solito è la leadership politica che controlla la struttura e la seleziona. In questo caso è il contrario, la macchina comunicativa seleziona la leadership. E’ un salto di qualità” (Damiano Palano)

Il ribaltamento dal partito-azienda all’azienda-partito si riverbera nell’obbligo imposto ai parlamentari di finanziare un’entità esterna al partito, completamente autonoma, che fa funzionare la struttura. Il tributo mensile da 300 euro dei parlamentari consentirà a Rousseau di fare un salto di qualità finanziario: con 339 eletti tra Camera e Senato, nelle casse di Casaleggio arriveranno oltre 100 mila euro al mese, più di 1,2 milioni l’anno e oltre 6 milioni nella legislatura. Tutti soldi che verranno gestiti secondo la volontà di Casaleggio, senza alcun tipo di vigilanza da parte del partito. Casaleggio controlla il M5s, ma non può essere controllato. A questi soldi vanno aggiunte le donazioni dei volontari, che finora sono di circa 600 mila euro, in gran parte già spese. Ma non si sa come. L’associazione Rousseau ha pubblicato solo un rendiconto generico del 2016, che indica in maniera sommaria entrate e uscite, ma nessuno – a parte Casaleggio – sa per cosa sono state spese e soprattutto a chi sono andate le centinaia di migliaia di euro di donazioni dei militanti. Davide Casaleggio ha detto in alcune risposte generiche che ci sono i “costi di mantenimento della piattaforma”, e poi “investimenti” per lo “sviluppo” e la “sicurezza”. In realtà di tutti questi investimenti non vi è traccia. Nel “Rapporto Rousseau” di fine novembre, quindi pochi mesi fa, gli ispettori del Garante della privacy – che ha poi sanzionato l’associazione di Casaleggio per gravi inefficienze e illeciti – scrivono che il software utilizzato dalla piattaforma Rousseau è affetto da “obsolescenza tecnica”, si tratta di una versione scaduta da quattro anni (“il produttore individuava nel 31 dicembre 2013 la data di fine vita”). E questa versione “manifestamente obsoleta” non garantiva alcuna sicurezza ai dati degli iscritti: “Il sistema di autenticazione” si basa sull’uso di “password banali, facilmente esposte alla decifrazione”. Quando si parla del voto elettronico viene certificata “l’impossibilità di accertare l’unicità del voto espresso nonché l’incertezza sulla sua autenticità” e anche la possibilità di “controllare e ricostruire le preferenze espresse dai votanti a causa della mancanza di anonimato”. Posto che questo software è stato donato dalla Casaleggio Associati, che non c’è stato alcuno “sviluppo” (versione scaduta da quattro anni), il “mantenimento” è quello che è, la “sicurezza” dei dati non è garantita e la segretezza e correttezza del voto men che meno, viene da chiedersi per cosa siano stati utilizzati tutti quei denari. Per il personale? Ma stando all’ultimo rendiconto sommario, Rousseau aveva un solo dipendente a tempo pieno (Pietro Dettori, un costo spostato dal bilancio della Casaleggio Associati a quello di Rousseau). Come sono stati spesi quindi i 600 mila euro finora raccolti? Nessuno lo sa.

 

Dal punto di vista finanziario, l’Associazione Rousseau è diventata sicuramente più importante della Casaleggio Associati. L’anno scorso, il primo bilancio di Rousseau si è chiuso con un avanzo di gestione di 79 mila e 676 euro, mentre quello della Casaleggio Associati con una perdita di 48 mila e 153 euro. Ma se si guarda il trend, i dati sono molto più interessanti. La Casaleggio ormai da anni è in rosso e continua a perdere fatturato. Nel 2014 il valore della produzione era di oltre 1,57 milioni di euro, nel 2015 si è ridotto a 1,13 milioni, nel 2016 è sceso addirittura a 975 mila euro e nel prossimo bilancio probabilmente peserà il distacco del blog di Beppe Grillo, con cui la Casaleggio aveva un contratto commerciale, che segue il definitivo abbandono del ramo editoriale. Le perdite sono state di 152 mila euro nel 2014, di 123 mila euro nel 2015 e di 48 mila euro nel 2016.

 

 

Nonostante questa evidente atrofizzazione dell’azienda, sui grandi giornali nazionali non mancano interviste in cui Davide Casaleggio o altri soci dell’azienda dicono che il futuro della Casaleggio Associati sarà nel campo dell’“Intelligenza artificiale”, “dell’Internet of Things” e della “blockchain”. A nessuno viene in mente di chiedere come sia possibile che una piccola azienda con meno di un milione di fatturato possa pensare di competere sulla frontiera della ricerca e dell’innovazione, in campi in cui servono tanto capitale umano e capitale finanziario. Di soldi ce ne sono pochini, ma anche il capitale umano non sembra di primissimo livello. Basta pensare ai risultati della più famosa creazione della Casaleggio Associati, la piattaforma Rousseau, “un sistema operativo che ci invidiano in tutto il mondo”, secondo quanto ha detto Davide Casaleggio al Sole 24 Ore, ma che il Garante della privacy ha descritto come “obsoleto”, scadente e completamente inadeguato. Casaleggio dice di aver accolto tutti i suggerimenti del Garante, ma non spiega cosa è stato fatto. Solo un mese fa un hacker è entrato nel sito di Rousseau e ha pubblicato i dati di Davide Casaleggio, mostrando che proprio lui aveva come password “davidavi”, una chiave debole, non alfanumerica e non superiore agli otto caratteri, di quelle che non si usano ormai da anni. Per le stesse persone che non sono riuscite a risolvere questo problema banale (ma importante per la sicurezza dei dati), spingersi nel campo dell’Intelligenza artificiale è un obiettivo molto ambizioso. E non pare che la società stia facendo investimenti sul capitale umano in questa direzione, visto che sul sito le posizioni aperte in azienda sono per “web content producer” e “social media & strategy manager”, cose che riguardano il web marketing più che l’Intelligenza artificiale. E’ pertanto evidente che il principale interesse per Davide Casaleggio sarà l’Associazione Rousseau, che già adesso ha conti più solidi dell’azienda di famiglia, ma che da quest’anno avrà anche un bilancio più grande e un flusso di entrate garantito dai soldi dei parlamentari. Ma soprattutto gli garantisce il controllo sul più grande partito del paese.

 

Tutti dicono che Davide “dà solo una mano” al M5s, che è “solo un tecnico” e che alla fine decidono gli iscritti. Ma sono davvero in pochi a crederci. Dal punto di vista pratico – anche mettendo da parte tutti i limiti tecnologici sulla sicurezza dei dati, sulla correttezza del voto, sulla trasparenza dell’utilizzo dei soldi – la “democrazia diretta” di Rousseau non produce alcun effetto politico concreto. Come scrivono tre ricercatori nel volume “M5s – Come cambia il partito di Grillo” (il Mulino) curato da Piergiorgio Corbetta: “La piattaforma Rousseau offre più che altro una vetrina per le iniziative legislative dei parlamentari pentastellati, a cui segue un disordinato elenco di commenti generalmente di bassa qualità e largamente ignoranti. Il risultato è che il contributo degli iscritti all’attività parlamentare tramite la piattaforma online è prossimo allo zero”.

 

Qualcosa su cui influiscono i militanti è la selezione dei candidati attraverso le primarie, anche se pure questa funzione è sempre più ridotta visto il potere sempre maggiore del vertice di ripulire le liste a monte e a valle della selezione, oltre alla facoltà di selezionare direttamente i candidati come è avvenuto per tutti i collegi dell’uninominale. In ogni caso, anche la correttezza e la sicurezza delle votazioni sono state messe fortemente in dubbio dal Garante della privacy. Davide Casaleggio ha più volte dichiarato di non aver mai tracciato il voto degli iscritti e di non essere mai risalito all’identità dei votanti, ma si tratta di un’affermazione falsa, smentita da documenti firmati dallo stesso Casaleggio. Il Foglio infatti ha pubblicato due documenti, presentati dal presidente dell’Associazione Rousseau in due diversi processi civili contro alcuni militanti espulsi dal movimento, in cui dichiara esplicitamente di essere risalito alle singole votazioni e all’identità dei votanti. “L’Associazione Rousseau – è scritto nel documento autografo di Casaleggio – in persona del legale rappresentante pro tempore, nella sua qualità di gestore del sistema informatico del MoVimento 5 Stelle, attesta che i dati contenuti nella tabella (contenente l’elenco delle votazioni del militante, ndr), relativi a Tizio sono stati estratti dal sistema informatico del M5s”.

 

Aldo Giannuli, ricercatore di Storia all’Università Statale di Milano, amico personale di Gianroberto Casaleggio e conoscitore delle dinamiche del M5s è certo della buona fede di Casaleggio. Sostiene anche che “non è una novità che ci siano partiti a legittimazione esterna”, ma adesso siamo “di fronte a un fenomeno più complesso e pericoloso”: “Il soggetto esterno sono il web e chi fa l’algoritmo, il caso Cambridge Analytica è un punto di contatto con la nostra faccenda. Sono sicuro che Casaleggio non abbia le stesse intenzioni, ma per certi versi nel movimento non c’è coscienza che si possa fare, ed è molto pericoloso”. Le buone intenzioni del “garante” o del “padre nobile” non bastano: “Ho discusso molto di queste cose con Roberto (Gianroberto Casaleggio, ndr) – dice Giannuli al Foglio – lui era un insieme di imprenditore oweniano, militante politico e visionario di fantascienza. Aveva davvero l’idea che i deputati fossero portavoce e che la linea la dettasse il web, cioè il popolo, del quale la Casaleggio era interprete attraverso gli algoritmi, come un’incarnazione di democrazia diretta. Io gli dicevo scherzando: ‘Tu sei matto da legare’, ma la sua era un’idea sincera”. Il problema secondo Giannuli è un altro, e riguarda la competenza tecnica e il quadro normativo: “La questione del gestore esterno è un tema serio e pericolosissimo – dice al Foglio –. Sono sicuro che Davide faccia tutto secondo coscienza, ma abbiamo preso alla leggera il fatto che fino a pochi giorni fa si infilassero gli hacker nella piattaforma. Io non so come l’abbiano rattoppata. Ma attenzione, quelli in fondo erano hacker benevoli che hanno reso pubblica l’intrusione. Siamo sicuri che non ci siano stati altri soggetti più professionali e che nessuno se ne sia accorto? Negli affari interni agiscono apparati di sicurezza e stati stranieri e questa non è fantascienza, è attualità, basta guardare a quello che è emerso negli Stati Uniti con Cambridge Analytica e il Russiagate”.

 

In questo contesto l’Associazione Rousseau è un unicum nella storia politica: un’associazione non riconosciuta, completamente in mano a una sola persona, che controlla il primo partito del paese che a sua volta obbliga i parlamentari a finanziarla. Nei giorni scorsi, intervistato dal Fatto quotidiano, il presidente dell’Autorità anticorruzione Raffaele Cantone ha lanciato un appello a tutti i partiti per introdurre regole che rendano più trasparenti i finanziamenti verso la politica. L’obiettivo principale sono le fondazioni politiche, che sono sottoposte a regole non proprio stringenti sulla rendicontazione delle entrate e delle uscite e che per questo sono sempre state definite dal M5s come le casseforti segrete dei partiti. Anche su questo campo Davide Casaleggio non ha fatto come gli altri, ma ha fatto di più. Quando il 25 aprile 2016 venne annunciata la nascita dell’Associazione Rousseau, nella lettera postuma di Gianroberto Casaleggio c’era scritto che l’associazione non riconosciuta era una forma temporanea “in attesa della costituzione di una Fondazione”. Intenzione confermata dallo stesso Davide Casaleggio: “Annuncio l’utilizzo dell’Associazione Rousseau fondata con mio padre per i mesi necessari a creare e far riconoscere la Fondazione Gianroberto Casaleggio in cui farò confluire le attività dell’associazione”. L’idea – che non si è mai concretizzata – mostrava di per sé la concezione proprietaria della “democrazia diretta” di Gianroberto Casaleggio, molto diversa da quella agitata davanti agli occhi dei militanti, visto che la fondazione è un istituto che serve a custodire un patrimonio per un determinato scopo e che garantisce l’inamovibilità dei suoi amministratori. Questo istituto giuridico, proprio per le sue caratteristiche peculiari, presuppone però alcune condizioni: la dotazione di un patrimonio proporzionato allo scopo (in questo caso, viste le somme spese da Rousseau, servirebbero centinaia di migliaia di euro) e il riconoscimento giuridico da parte del prefetto che certifica l’autonomia patrimoniale e vigila sulla corretta amministrazione. Ma Davide è andato oltre. Ha raggiunto lo stesso obiettivo – il controllo assoluto ed eterno sul partito – non attraverso una fondazione che ha maggiori obblighi e necessità di un fondo da centinaia di migliaia di euro, ma con un’associazione non riconosciuta e 300 euro di dotazione iniziale. Un vero colpo gobbo.

 

Negli ultimi decenni si è parlato molto della sempre più asfittica democrazia interna dei partiti, della trasformazione dei partiti in comitati elettorali e strutture di comunicazione, della nascita di partiti padronali o partiti-azienda. Ma qui siamo di fronte a una specie di azienda-partito. Un’entità esterna e non controllata dal partito, finanziata dagli eletti, gestita da una persona senza alcun ruolo politico né legittimazione democratica, capace di selezionare la leadership e indirizzare l’attività politica del principale partito italiano. Rispetto a tanti fatti marginali che hanno riempito i media per mesi, sono questioni di cui si è discusso troppo poco e che Casaleggio è riuscito a schivare agevolmente. L’opinione pubblica è grosso modo ferma all’incipit dell’articolo del New York Times: “Potenzialmente è l’uomo più potente d’Italia, eppure sono in pochi a sapere chi è”. Questo alone di “oscurità” e “mistero” che ancora persiste attorno alla figura di Davide Casaleggio è in gran parte responsabilità del mondo dell’informazione. Ma siamo ancora in tempo per rimediare.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali