Il ministro dell'Economia, Giovanni Tria (Foto Il Foglio)

È ora di un piano anti spread

Valerio Valentini

L’alta velocità, le grandi opere, il deficit, la scommessa sulla crescita, l’azzardo su Alitalia, le banche, lo scontro con l’Europa. Una chiacchierata a tutto campo con il ministro dell’Economia Giovanni Tria alla Festa del Foglio 

Che alla festa del Foglio non potesse mancare, Giovanni Tria, era evidente. E non solo perché al giornale il professore di Tor Vergata è legato da ben prima di iniziare la sua esperienza di ministro dell’Economia. Il punto è che la festa è dedicata, come sempre, all’ottimismo: e chi, più del responsabile dei conti di un governo che prevede una crescita per il 2019 dell’1,5 per cento, ostenta positività per il futuro?

 

Qui il video integrale dell'intervento di Giovanni Tria

 

Si siede in prima fila, Tria, e ascolta per tutta la giornata gli interventi degli altri ospiti. “Sarei venuto alla Festa del Foglio anche solo per ascoltare”. E invece non poteva essere solo uno spettatore. A Tria spetta anche parlare, quest’anno. E spiegare, innanzitutto, a proposito di ottimismo, perché tutti gli osservatori – dalla Commissione europea alla Banca d’Italia, dalle agenzie di rating all’Ufficio parlamentare di bilancio – sono più pessimisti dell’esecutivo.

 

“Non vedo, in verità, tutto questo pessimismo. È semmai una discussione sui decimali, quella che si sta portando avanti. Bisogna mantenere la lucidità dei giudizi e abbassare i toni”. Abbassare solo i toni, e se possibile anche lo spread. “È chiaro che un tasso di differenziale così alto non possiamo sopportarlo molto a lungo”. Lo ha ribadito anche Mario Draghi. “Che non è stato inopportuno, nel dirlo. Ha ribadito un dato di realtà, come un banchiere centrale deve fare”. Quanto alla soluzione più opportuna per far sì che lo spread scenda davvero, Tria predica prudenza, soprattutto. “Non è il 2,4 ciò di cui gli investitori che incontro mi parlano. Non è quella la paura. D’altronde quello deciso dal governo è un tasso di deficit moderato. Lo stesso Carlo Cottarelli, stupendomi un po’, nei giorni precedenti alla redazione della manovra aveva auspicato un deficit al 2,2. Carlo Messina, ad di Intesa, aveva detto che il deficit era addirittura una questione secondaria. Lo spread, allora, deriva dall’incertezza politica, che non si riesce a fugare. I fondamentali economici non giustificano questo differenziale coi bund tedeschi, né lo giustificano le misure previste in manovra. Per il reddito di cittadinanza, d’altronde, vengono stanziati 9 miliardi: uno in meno che per gli 80 euro di Matteo Renzi. La paura è semmai legata al fatto che i governo possa rompere con l’Europa. Allora non serve dire che abbassiamo il deficit, e basta. Semmai, ridurre quel 2,4 di un paio di decimali può avere un valore simbolico: potrebbe apparire come un segnale di distensione in riferimento al rapporto che vogliamo avere con l’Europa”.

 

E però a Cernobbio, all’inizio di settembre. “Sì, a Cernobbio, all’inizio di settembre, avevo detto che è inutile alzare il deficit se poi quei margini aggiuntivi di spesa vengono bruciati dallo spread. Io forse avrei preferito un livello di deficit più basso: ma lo avrei preferito come ministro, non come economista. Se avessi dovuto decidere da semplice studioso, avrei optato per il 2,4 o per il 2,5, fermo nella convinzione che, in un momento di rallentamento, sia necessario dare uno stimolo all’economia”. E a proposito di crescita, Tria non accetta che si metta in dubbio il rigore con cui il governo ha indicato l’1,5 per cento. “È stato individuato attraverso un modello econometrico del Tesoro: migliorabile, a mio avviso, ma efficiente. Nessun si è inventato i numeri. Ho ascoltato Cottarelli, persona che stimo, parlare della necessità di dare giudizi informati. Ebbene, nel su ragionamento sulla crescita, credo manchino delle informazioni. Lui dice che servirebbe una crescita mondiale del 6 per cento per permettere una crescita italiana dell’1,5. Ma in fondo la nostra previsione è di appena un decimale maggiore rispetto alle stime fatte dal governo, quando nessuno pensava alla crescita mondiale come condizione necessaria per giustificare quei dati”.

 

E così come Cottarelli, anche Olivier Blanchard, economista keynesiano ed ex capo economista dell’Fmi che non crede nell’espansività della Manovra, ha espresso, secondo Tria, “un giudizio poco informato, senza conoscere i dettagli della manovra”. E invece a Elsa Fornero, che ironicamente aveva sottolineato come nella Nadef venisse elogiata la sua riforma, Tria replica che “pur avendo reso più sostenibile la spesa pensionistica, ha però bloccato il turnover contribuendo a creare instabilità sociale. Dannosa almeno quanto quella economica”.

 

E però, nel contratto i governo si diceva che il governo avrebbe fatto “un uso appropriato e limitato del deficit”. E nella lettera di risposta alla Commissione europea, il governo ammette di essere cosciente di avere scelto una linea di bilancio non in linea con le norme europee del patto di stabilità. Cos’è cambiato in questo cinque mesi? “Nulla. Nella discussione con la Commissione avevano stabilito l’1,6 come livello massimo, fino al quale non ci sarebbe stata opposizione. Ma da luglio a settembre c’è stato un rallentamento dell’economia, e c’era bisogno di un adeguamento. Resto ancora convinto di quello che scrivevo anni fa sul Foglio: mi sento moto europeo, e se c’è un treno in corsa io sarei molto contento di fare scendere il pilota nazionale per mettere quello europeo, ma sono meno d’accordo nel sostituire il pilota nazionale col pilota automatico, perché alla prima svolta il treno deraglia. Questo il vero problema dell’Europa: non avere un centro politico discrezionale. Quello che sta accadendo in Europa non è colpa dell'Italia. Dipende dal fatto che l'Europa non è al passo con il resto del mondo. L'Europa sta perdendo di vista le ragioni dello stare insieme, alcuni Paesi dicono no a qualunque proposta. non avere una guida politica che sappia scegliere in modo discrezionale. La tesi, di Ue e Fmi, ora, è che fino a quando c’è crescita bisogna fare politiche restrittive e di risanamento di bilancio. Ma un paese con una situazione di disagio così forte, non può accettare politiche fiscali quando ha una crescita dello 0,7 o 0,8”.

 

Quanto ai controlli trimestrali sulla crescita, proposti da Giancarlo Giorgetti e Paolo Savona, Tria li ritiene “poco realistici. Nessuno può pensare che si possa davvero giudicare gli andamenti della crescita mese per mese, o nell’arco del trimestre. Si terrà semplicemente conto dell’andamento generale dell’economia, come del resto il Tesoro già fa ora”. E le banche? Matteo Salvini e Luigi Di Maio dicono che si farà tutto ciò che è necessario per salvarle. “Un governo deve intervenire, in un modo o nell’altro, di fronte a possibili difficoltà degli istituti di credito. Ma certo ora, da ministro dell’Economia, non posso anticipare nulla, anche per non influenzare i mercati”. Bail-in o bail-out? “Il bail-in è una liquidazione della banca: così come avviene quando una persona compra obbligazioni di un’azienda privata, se questa va male, perde. Certo, l'Italia ha accettato il bail-in diventasse una regola europea un po' troppo presto, come ha raccontato anche Fabio Saccomanni, sotto il ricatto della Germania. Preoccupato no, non sono preoccupato per la capitalizzazione delle banche, ma guardo attentamente a ciò che sta accadendo. I nostri istituti di credito sono solidi, a parte qualche caso piccolo e sparso. Al momento non ci sono pericoli di fronte allo stress test, ma questo tasso di spread non è sostenibile”.

 

Pochi investimenti? “No”. Certo, in manovra solo c’è solo uno 0,2 destinato ad essi, a fronte di poco meno di un punto di pil per reddito di cittadinanza e pensioni. “Tuttavia, nel bilancio tendenziale dello stato già ci sono tanti soldi per gli investimenti, il problema è che non vengono spesi. Subito dopo la tragedia di Genova, qualcuno ha invocato lo sforamento del 3 per cento per rilanciare gli investimenti. Ma non serve: perché i fondi ci sono. Il problema è sbloccarli, quella è la sfida. Una task force sta lavorando al Mef per supportare la cabine di regia di Palazzo Chigi e capire dove sono gli intoppi. Stiamo creando una grande centrale per la progettazione di alto livello per le amministrazioni di ogni grado per supportare l’attivazione degli investimenti. Bisogna creare così la base per la competitività italiana. Anche per questo bisogna aprire i cantieri e rilanciare le opere pubbliche”. Anche la Tav e il Terzo Valico? “Non conosco quelle opere nel dettaglio. Ma in generale bisogna sbloccare le opere pubbliche. Alitalia? “Bisogna evitare la liquidazione, anche perché ci sono in ballo 14 mila famiglie, ma nel rispetto delle regole europee sulla concorrenza, anche per quanto riguarda la restituzione del prestito ponte. Rispetto al possibile intervento di Ferrovie dello stato, lascio che sia il cda, in piena autonomia, a prendere le sue decisioni”.  

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