Contro lo statalismo
Le radici del sovranismo sono quarantottine, e non è una bella cosa. Il libro di Bastiat e Molinari
Pubblichiamo un commento a "Contro lo statalismo. Proprietà, giustizia, sicurezza, e le imposture del potere statale", il libro di Frédéric Bastiat e Gustave de Molinari da domani in vendita con Il Foglio. Il volume è curato da Carlo Lottieri.
Era il 1992. Parigi si trovava nel mezzo delle celebrazioni rivoluzionarie, con manifestazioni che riproponevano passo dopo passo quanto era successo due secoli prima. La religione civile della République imponeva i suoi riti e, ovviamente, raccontava un passato segnato da omissioni: a partire da quel genocidio vandeano che, a caldo, era stato denunciato dal “comunista” Gracchus Babeuf, ma su cui era subito calato un velo assai spesso.
Stavo finendo la tesi di dottorato su Gaetano Mosca, sotto la guida di Raymond Boudon, e parallelamente coltivavo i miei interessi libertari. Avevo scoperto Frédéric Bastiat, che al tempo era stato una celebrità, per poi però essere dimenticato. L’elegante essenzialità di quella prosa era stata ridotta a semplicismo, anche se alcune sue analisi hanno anticipato le critiche liberali all’idea che una domanda indotta artificialmente possa giovare alla crescita. Insieme a Bastiat avevo pure iniziato a leggere Gustave de Molinari, che ne aveva preso il testimone nel gruppo del “Journal des économistes” e a cui si deve la prima versione di una proposta anarco-capitalista. L’antologia “Contro lo statalismo” nacque così: mettendo insieme due scritti di Bastiat del 1848 e uno di Molinari del 1849. E si tratta di pagine di economisti che, però, non trattano principalmente questioni economiche.
Il timing dice molto. Nell’Europa travolta dal Quarantotto sta succedendo qualcosa di cruciale per l’occidente. Se fino a quel momento le idee liberali erano state espressione di un’attitudine “all’avanguardia” (volta a riconoscere la centralità dei diritti individuali), a quel punto la storia volta pagina. Il nazionalismo e il socialismo conquistano la mente e il cuore dei giovani, mentre il liberalismo è associato ad attitudini conservatrici.
In Europa soffia un vento variamente risorgimentale, tecnocratico, collettivista, e quanti difendono le libertà dei singoli finiscono nell’angolo. Eletto deputato, Alexis de Tocqueville va a sedersi sulla sinistra dell’emiciclo, ma è ormai chiaro che lo Zeitgeist ha abbandonato chi si schiera contro la retorica delle masse, delle classi, delle nazioni. Non può stupire, allora, che le pagine di Bastiat e Molinari siano coeve al Manifesto di Marx ed Engels, ma non abbiano conosciuto analogo successo. Eppure contengono lezioni attualissime.
Ne La proprietà e la legge Bastiat focalizza l’attenzione sul diritto. La tesi è che il compito dell’ordinamento consiste nel proteggere la libertà dei singoli, e non già nel limitarla. Per questo egli critica ogni visione legalista della proprietà, che ne fa un semplice prodotto della legge, come se il Codice avesse introdotto nel mondo la proprietà e, con essa, la libertà medesima. Bastiat reagisce, ricordando che non abbiamo proprietà perché ci sono le leggi (come vuole una visione positivistica del diritto, caratteristica del legalismo giacobino), ma invece abbiamo deciso di darci leggi proprio perché abbiamo proprietà e per tutelarle: difendendo in tal modo la nostra stessa libertà.
Nell’altro scritto (“Giustizia e fraternità”), Bastiat contrappone la vera filantropia – che esige volontarietà – e quel malinteso senso di equità che porta il potere a espropriare e a redistribuire, minando il diritto e spegnendo ogni responsabilità. Se nella battaglia intellettuale gli argomenti di Bastiat avessero avuto la meglio su quelli di Bismarck e Lord Beveridge, di Mussolini e Roosevelt, ci saremmo evitati il welfare e il dissesto che ha causato. Lo scritto di Molinari su La produzione della sicurezza si colloca su un piano diverso. Proprio mentre l’ascesa dei collettivismi legati alla Patria e alla Classe stavano cacciando le tesi liberiste in un ghetto legato al passato, egli formula tesi ancora oggi estreme: tuttora rivoluzionarie.
Muovendo dalla predilezione degli economisti classici e dei liberali per la competizione di mercato, Molinari propone che anche i servizi di protezione, giustizia e difesa siano posti in concorrenza. Per questo parla di “libertà di governo” e suggerisce che si apra un mercato anche in quegli ambiti che la cultura statalista dell’età moderna attribuisce sempre e comunque allo stato. Alla fine, il Quarantotto di Marx e Mazzini stava solo riformulando la vecchia sovranità cinque-secentesca, conferendole un potere ancora più ampio: come constateremo drammaticamente con l’avvento dei regimi totalitari. I veri rivoluzionari erano altri, anche se tuttora la loro lezione resta ignota ai più.
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