Il Caso K. e l'ossessione che dappertutto si nasconda male da estirpare

Michele Silenzi

Un'allucinazione reale così simile al nostro mondo

Un romanzo breve, una narrazione potente e allucinata che induce a riflettere sul sistema giudiziario, sul senso della colpa, della colpevolezza e della pena, sul pericolo di dare vita a una società rischiosamente liberticida e securitaria. Il Caso K. di Antonio Baroni è un breve esasperante viaggio nella coscienza di un uomo che si trova accusato di un crimine in maniera incomprensibile e che prova a dar ragione del mondo assurdo in cui si trova a camminare attraverso la propria cultura. Esperienze biografiche, storiche e letterarie, in questo libro si mescolano senza soluzione di continuità ma con un filo rosso ben definito: il pericolo impersonale e incombente, del tutto imprevedibile, di essere schiacciati senza ragione dalla macchina giudiziaria.

 

Quasi per accostamento eidetico, ideale e spirituale, le vicende del protagonista si intrecciano con quelle della macchina repressiva della polizia staliniana delle grandi purghe, forse il meccanismo più allucinante di applicazione di una legge repressiva che provava a dar forma a un paradiso sulla terra creando un inferno.

 

Il contenuto di questa narrazione tumultuosa che intreccia eventi storici, personaggi letterari e citazioni dai più diversi libri, perché tutto alimenta il grande discorso sulla giustizia, si può sintetizzare con una delle frasi più significative del testo, quella in cui si descrive una società ossessionata dal fatto che dappertutto si nasconda male da estirpare, legni storti da raddrizzare: “l’obiettivo è sempre quello di rinchiudere l’accusato in un cerchio infernale, come si fece con Calas, con Dreyfus, con gli altri, per poi distruggerlo implacabilmente, non come colpevole, ma come accusato”.

 

E’ qui che la giustizia si perverte in maniera definitiva, in cui l’accusato, invece che innocente fino all’ultimo grado di giudizio è già un meta-colpevole che va distrutto proprio solo per il fatto di essere accusato. Sappiamo bene, nel tempo del circo mediatico-giudiziario, che è proprio così. Ne abbiamo avuto, ne abbiamo testimonianze quotidianamente e, se guardassimo a fondo dentro di noi, forse ci accorgeremmo che anche negli spiriti all’apparenza più garantisti è stato instillato il germe della colpevolezza sicura di ogni accusato. Non temo l’inquisitore fuori di me, temo l’inquisitore dentro di me!

 

La giustizia descritta da Baroni, attraverso secoli di storia e attraverso letteratura e filosofia, con le citazioni che si fanno tutt’uno con il suo linguaggio, è una giustizia che per vivere ha sempre bisogno di nuovi colpevoli, è un cerbero, il mitologico e diabolico cane che ogni volta che mangia ha “più fame che pria”. Ma non sono i colpevoli ad essere necessari alla giustizia per autoalimentarsi, la giustizia è golosa di accusati.

 

E’ così che si spiega l’ossessione assoluta per la corruzione. Un reato, certo, ma anche una disposizione d’animo, una sfumatura dello spirito e un peccato di natura morale. Tutto può essere corruzione, le vie e le fonti a cui si abbeverano corrotti e corruttori possono essere infinite. Non è un caso se il paradigma di tutte le ingiustizie, la condanna a morte dell’uomo più giusto, Socrate, fosse basata proprio sul concetto di corruzione. Non è un caso se la corruzione e il suo pendant, l’onestà, ormai manganello sloganistico grillino, termine masticato e maciullato, deprivato di qualsiasi autentico senso, siano diventati programma politico e strumento di propaganda. Tutto diventa oggetto di materia per i giudici se tutto ciò su cui si posa l’occhio dell’uomo è corrotto.

 

Leggere Il caso K., leggerlo tutto d’un fiato, sarà come immergersi in un’allucinazione reale in cui si coglieranno fin troppe somiglianze con la nostra contemporaneità. Il lettore che avrà voglia d’imbarcarsi in questo breve viaggio, potrebbe trovare dentro di sé, al suo termine, lo spazio per una visione del mondo più pietosa e tollerante, pensando che il dubbio, l’incertezza, la stortura e l’imperfezione siano ciò che rende gli uomini uomini.

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