Vent’anni fa, quando il Fogliuzzo era ancora un bambino berlusconiano pop di cinque anni, a Roma si tenne un grande Anno giubilare convocato da san Giovanni Paolo. E sfilò a giugno anche un gay pride, un corteo per l’orgoglio omosessuale che a luglio il Papa condannò come uno sfregio, sia pure con parole misurate, non apocalittiche, in un certo senso laiche, e che aveva fatto infuriare polemiche con la decisione del sindaco Rutelli di togliere il patrocinio alla manifestazione, diciamo così, per lesa santità dell’Urbe. Il Fogliuzzo era giovanpaolino, adorava le frotte di papaboys sciamanti nella Città eterna, pubblicava testi papali significativi anche in latino, giocava come sempre con le idee più estreme radicali e scorrette, e il cristianesimo attivo e politico del conservatore Wojtyla era della partita, così ci immergemmo in quella strana estate di spiritualità collettiva, di devozione nello spazio pubblico, connotata da fede senza particolare ostentazione, fede con buon gusto civile.
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