l'iniziativa

Una spilla per ricordare gli ostaggi nelle mani di Hamas

Questo venerdì il Foglio regala ai suoi lettori una spilla per non dimenticare gli israeliani rapiti il 7 ottobre. Chiedi al tuo edicolante di riservartela

Più di nove mesi nei tunnel sotto Gaza o nelle case di qualche civile che lavora per Hamas. Nove mesi senza essere visitati dalla Croce Rossa e senza poter comunicare con le proprie famiglie, tranne essere costretti a girare quei video di tortura psicologica in cui i loro rapitori senza pietà li costringono a implorare il proprio paese di riportarli a casa, cedendo ai ricatti del terrore e di certo umanitarismo che è il ventre molle dei jihadisti. Nove mesi in cui chi è tornato ha raccontato di stupri e di aggressioni sessuali, di costrizioni religiose islamiche, di pistole puntate alle tempie, di penuria alimentare e igienica e di tante, troppe, altre forme di tortura che soltanto i familiari possono capire in tutta la loro tragedia e lugubre violenza. Nove mesi senza essere al centro dei proclami delle cancellerie occidentali, delle nostre piazze o delle risoluzioni dell’Onu. Per dirla con lo scrittore francese Sylvain Tesson, “come se meritassero la propria sorte”. E la sorte è quella degli israeliani rapiti da Hamas il 7 ottobre, quel che resta di vivo (pochi per la verità secondo le stime israeliane, non più della metà del loro numero ufficiale conteggiato nelle trattative fra Hamas e Israele) del più grande crimine contro il popolo ebraico dalla Shoah e nell’intera storia d’Israele, già segnata da cinque guerre e innumerevoli ondate di terrorismo.

Quando Israele ne ha liberati quattro in un blitz a Gaza, c’è chi nel mondo occidentale ha condannato lo stato ebraico. Già visto. Nel 1976, un commando di terroristi del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina e della tedesca Rote Armee Fraktion dirotta un aereo francese diretto in Israele e lo costringe ad atterrare all’aeroporto di Entebbe, in Uganda. All’aeroporto i terroristi liberano i passeggeri non ebrei e trattengono in ostaggio i restanti 106 passeggeri oltre all’equipaggio. Per rilasciarli, pretendono la scarcerazione di terroristi condannati e detenuti in Israele. Una specie di 7 ottobre in una pista ugandese. Forze speciali israeliane fecero irruzione nell’aeroporto e liberarono gli ostaggi. Tutti i terroristi e tre ostaggi vengono uccisi nello scontro a fuoco. C’era anche Yonatan Netanyahu, fratello dell’attuale primo ministro israeliano. Un quarto ostaggio, Dora Bloch, un’anziana passeggera che era stata portata in un ospedale locale, viene uccisa per rappresaglia dai soldati ugandesi. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, l’austriaco Kurt Waldheim, accusò Israele d’aver commesso una “grave violazione della sovranità” dell’Uganda. Già visto.

Per attirare il destino di questi rapiti, vittime di Hamas prima e dell’oblio occidentale poi, dopo il 7 ottobre è girata, molto timidamente per la verità, la “Freedom Pin”, la spilla a nastro giallo. La notte degli Oscar, qualche attivista ha provato a farla indossare agli attori con scarso successo, come le spillette rosse del cessate il fuoco, esibite invece in gran quantità. Per questo abbiamo anche noi deciso di distribuirla ai nostri lettori, come facemmo con la kippah bianca nel gennaio del 2016, quando l’antisemitismo nelle nostre strade mostrò tutto il suo ghigno perverso. E in fondo, spilletta gialla e kippah bianca sono simboli dello stesso pericolo. Fate una prova: in un lampione di una strada, affiggete due manifesti, uno per un cane scomparso e l’altro per i rapiti israeliani. Tornate dopo qualche giorno e vedrete quale dei due è stato strappato via. Vanno riportati a casa e vanno sconfitti i barbari nemici, oltre che di Israele, dell’occidente, della democrazia, della civiltà e della libertà. Vale la pena ricordarlo ogni giorno, di urlarlo, anche con un gesto simbolico, anche con una spilletta. Riportateli a casa.

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