Sostiene il direttore di questo giornale che una convergenza del Pd sulla candidatura di Carlo Calenda a sindaco di Roma sarebbe cosa buona e giusta. Sono un romano emigrato da più di trent’anni in Trentino e non so dire se la scelta dell’ex-ministro e fondatore di Azione sia la mossa vincente per rianimare una Capitale agonizzante e rilanciare il suo ruolo nazionale e internazionale. Ma, per quel che valgono la mia opinione e la mia esperienza da una lontana provincia di confine, condivido appieno l’idea di Pd che sta alla base della proposta: una forza inclusiva, una “calamita” capace, con umiltà di cuore e apertura mentale, di attirare tutto il meglio della cultura riformista che può offrire il paese. “Chi non è contro di noi, è con noi”, dice il Vangelo di Marco, condannando integralismi e faziosità. Può darsi che sia un’idea nuova, certamente è l’idea originaria del Pd, ovviamente da declinare in un contesto assai diverso da quello del 2007: l’idea di un partito “plurale” per storie, tradizioni e culture politiche, capaci di incontrarsi in un nuovo riformismo; “di iscritti e di elettori”, dunque flessibile per forma organizzativa e confini di appartenenza; e “a vocazione maggioritaria”, quindi proteso a conquistare consensi ben oltre gli angusti confini di una formazione identitaria. Questa è del resto l’idea di Pd che è riemersa e si è dimostrata vincente in tanti territori nell’ultima tornata elettorale, regionale e amministrativa.
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