Perché la crisi francese è una minaccia seria anche per i conti dell'Italia

Luciano Capone

La manovra in salita, il deficit che sale, lo spread che supera quello della Grecia, il governo appeso alla mozione di censura di Le Pen. Per Barnier la Francia rischia “una tempesta finanziaria”, che può diventare una crisi dell'Eurozona

Ipotizzarlo pochi anni fa sarebbe sembrato fantascienza: lo spread della Francia ha raggiunto il livello di quello della Grecia e, per i titoli a cinque anni, lo ha anche superato. Il divario Oat-bund è ora poco sotto i 90 punti, il livello massimo per Parigi dal 2012. Ieri il rendimento dei bond è salito e la Borsa, in particolare i titoli bancari, è risultata la peggiore d’Europa perdendo l’1%. Le preoccupazioni degli investitori riguardano le difficoltà del governo ad approvare la legge di Bilancio.

Paradossalmente, viste le enormi difficoltà politiche dell’esecutivo di minoranza guidato da Michel Barnier, è proprio la minaccia dei mercati l’elemento che può far approvare un budget contestato da tutti. Si rischia “una tempesta grave e serie turbolenze sui mercati finanziari”, ha detto Barnier ai francesi in un’allarmata intervista tv. I destinatari del messaggio sono le opposizioni e, in particolar modo, la leader dell’estrema destra Marine Le Pen che, di fatto, ha in mano il destino del governo. Il primo ministro, che come detto è sostenuto da repubblicani e macronisti ma senza avere una maggioranza parlamentare, molto probabilmente per far approvare la sua proposta di bilancio sarà costretto ad attivare il “49.3”, il terzo comma dell’art. 49 della Costituzione che consente di far passare in Assemblea il projet de loi de finances, a meno che non venga votata successivamente una mozione di censura. In tal caso, il progetto di legge cadrebbe e con esso Barnier. La Francia si troverebbe, quindi, senza un governo e in esercizio provvisorio.

Affinché questo si verifichi, però, è necessario che la mozione di sfiducia venga votata dai due blocchi di opposizione, la sinistra del Nouveau front populaire e la destra lepenista del Rassemblement national. Le due forze sono agli antipodi, ma accomunate dalla contrarietà al budget proposto da Barnier. Ed è comprensibile, dato che i due blocchi antisistema hanno fatto due campagne elettorali, prima le europee e poi le legislative, contro l’“austerità” del presidente Emmanuel Macron. Sia destra sia sinistra hanno proposto un forte aumento della spesa pubblica, senza indicare le entrate aggiuntive per coprirlo, e ora si trovano davanti una finanziaria molto più dura delle precedenti.

Il problema della Francia, però, è che il deficit dovrebbe ridurlo anziché aumentarlo. La situazione delle finanze pubbliche francesi è preoccupante. Il 2024 si chiuderà con un deficit che è schizzato al 6,2%, ben oltre le stime che prevedevano il 5,1%, portando il debito pubblico oltre il 110% (era al 65% nel 2007) e su una traiettoria ascendente. Per queste ragioni, la proposta di bilancio di Barnier punta a ridurre il deficit al 5% nel 2025, con l’obiettivo di scendere sotto il tetto del 3% entro il 2029, due anni dopo le richieste della Commissione europea. L’aggiustamento fiscale è di circa 60 miliardi di euro, composto per due terzi di tagli alla spesa e un terzo di aumenti di imposte (tassa sugli extraprofitti delle grandi imprese e sui redditi più elevati, 250 mila euro per i single e 500 mila euro per le coppie). Tra i provvedimenti fiscali più criticati dalle opposizioni ci sono quelli legati agli incrementi dell’energia elettrica e un taglio del rimborso dei farmaci. 

In un articolo pubblicato sul Figaro, dopo aver denunciato l’irresponsabilità fiscale della presidenza Macron, Marine Le Pen ha indicato le sue “linee rosse”, tra la difesa del potere d’acquisto delle classi medio-basse, confermando che voterà la censura se la proposta di bilancio resta “così com’è”. Per non restare ostaggio delle richieste della Le Pen, il governo cerca contemporaneamente di disarticolare il Nuovo fronte popolare, dove sono evidenti le crepe tra gli insoumise e i socialisti, invitando questi ultimi alla responsabilità e a staccarsi dall’estremismo di Jean-Luc Mélenchon. Ma l’operazione non sembra produrre risultati, nel contesto attuale. 

Come ha spiegato Olivier Blanchard, ex capo economista dell’Fmi, la Francia ha bisogno di un aggiustamento fiscale a lungo termine di 140 miliardi per stabilizzare il debito pubblico e per riuscirci, con gli attuali rapporti di forza nell’Assemblea, servirebbe un gioco cooperativo in cui ogni partito rinuncia a qualche rivendicazione. L’esatto contrario dell’approccio muscolare e delle “linee rosse” tracciate dai partiti a difesa dei rispettivi elettorati. Ma è possibile che un Parlamento così frammentato e polarizzato si metta a collaborare? “Probabilmente non senza segnali forti provenienti dai mercati finanziari e la minaccia di una crisi”, è la previsione di Blanchard.

Ed è proprio facendo leva sul rischio di una “tempesta finanziaria” che Barnier cerca di evitare la censura. Qualora non dovesse farcela, il rischio non è tanto la crisi politica in Francia, ma che Parigi diventi l’epicentro di una crisi finanziaria che si espande a tutta l’Eurozona, a partire dai paesi più esposti come l’Italia.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali