Gli Usa "ripartiranno, sulla spinta del nuova presidenza". Ma tanti settori, a partire dal fashion, devono la propria tenuta soprattutto a Pechino: "Senza i loro acquisti avrebbero chiuso"
Dal suo ufficio milanese nella celebre Casa di Guglielmo Ulrich con ampia vista sui Giardini pubblici, il presidente della Fondazione Italia-Cina e dell’Istituto italo-cinese Mario Boselli dice che l’Italia ha fatto bene a firmare l’accordo con Beijing nel 2019 “ancorché non se ne sia capita la portata, anche diplomatica: un’alternativa al riparo dell’ombrello americano e della sua ombra ormai quasi centenaria andava trovata”. Aggiunge come “fra le tante proteste e i molti distinguo rivolti al premier Conte e al ministro Luigi Di Maio non si sia tenuto conto che un investimento infrastrutturale nei nostri confini, penso al porto di Trieste e quello di Taranto, con i problemi che ha con l’Ilva, postuli l’accettazione delle nostre leggi sul lavoro. Oltre al fatto che le opere restano. E noi, diciamocelo una volta per tutte, i soldi per queste opere non li abbiamo”. Certo qualcosa di più – aggiungiamo noi – avrebbe dovuto essere fatto anche in termini di verifica e di spiega pubblica sui termini dell’intesa Italia-Cina, e prima che l’Unione europea aprisse a un accordo estensivo sull’auto e sull’energia con il governo di Xi Jinping lo scorso dicembre.
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