GranMilano
Paradigma Civati
Perché il pesce d’aprile del candidato sarebbe stato utile davvero per la sinistra
Pippo Civati, uno che ai tempi riempiva i tendoni delle feste dell’Unità e organizzava la prima Leopolda con Matteo Renzi, ha pubblicato un tweet il primo di aprile: “Ho deciso di candidarmi alla presidenza della Regione”. Tutta l’aria di un pesce, ma sotto tutti a commentare, e a sperare, che l’editore, già fondatore di Possibile e di Leu, già enfant prodige proprio in Consiglio regionale e nella sua Monza e Brianza (felix) davvero avesse deciso il gran passo. Invece no. Era proprio un pesce d’aprile, e la cosa più drammatica è proprio questa: purtroppo era solo e proprio un pesce d’aprile. Pensate che genialata sarebbe stata avere un candidato a sinistra che, un anno e mezzo prima si butta in campo, e giorno dopo giorno pesta, propone, costruisce rapporti pezzo per pezzo sul territorio, nell’unica tornata negli ultimi vent’anni in cui la Lombardia sarà, probabilmente viste le attuali condizioni del centrodestra regnante, contendibile.
Una sfida, quella lombarda, che ha nella contesa di Milano il suo antipasto. Duro da digerire per la coalizione di centrodestra se continuerà a mancare un candidato. E se Milano finirà come alcuni credono, ovvero con una vittoria di Beppe Sala (a meno che non sorga un terzo polo centrista… chissà), allora la tensione inizierà immediatamente a salire anche a Palazzo Lombardia. Senza contare che oggi, senza candidato e senza programma per il 2023, se anche Attilio Fontana decidesse di mollare prima – cosa che non è alle viste malgrado i tanti spifferi in senso inverso – a nessuno ma proprio nessuno farebbe piacere. Non ai consiglieri, anche a quelli che chiedono più insistentemente le dimissioni, non ai partiti, che non sono pronti e che sono in parte moribondi (Forza Italia e Movimento cinque stelle, per dirne due), non a tutti quelli che hanno speso centinaia di migliaia di euro per la campagna elettorale solo due anni e mezzo fa. E dunque, il pesce d’aprile di Pippo Civati preoccupa perché è un pesce d’aprile. Non lo fosse stato, sarebbe stato una bel à-tout politico. Ancor di più se applicato a politici che ci potrebbero davvero pensare, come il sindaco di Brescia Emilio Del Bono.
Dopo aver mostrato tutta la propria abilità nei rapporti con Milano, riuscendo ad agguantare la nomina dell’amministratore delegato di A2A Renato Mazzoncini, Del Bono potrebbe essere un nome per sfidare il successore di Fontana, che sicuramente non correrà nuovamente. I nodi da sciogliere però sono tre. Il primo è questo: Del Bono scenderà con molto anticipo in campo? Solo così si costruiscono consensi ampi sul territorio. Lo farà se ci sarà un accordo a livello nazionale e se Enrico Letta si incaricherà in prima persona di offrirgli un paracadute. Il secondo nodo: con quale coalizione? Mettere in campo un’opzione comune con il Movimento cinque stelle provocherebbe ben più di un mal di pancia, basti guardare quel che è successo a Milano, dove prevedibilmente si va in quella direzione. L’ultimo nodo: la rappresentanza sui territori, che ad oggi è fortemente ideologizzata e che si scontra con il voto tradizionale della valli, dove c’è delusione ma anche si è restii a votare a sinistra. Costruire una rappresentanza civica sui territori pare l’unica soluzione, anche per il Pd che sta provando ad imbastire la rete, ma ci vuole un candidato e molto tempo. E si torna al punto uno. A dirla tutta ci sarebbe un corollario, che in politica dovrebbe essere una premessa: partire molto prima potrebbe far finire la sterile (e un po’ noiosa) opposizione ideologica e caciarona e far passare anche sui media ormai banalmente polarizzati qualche contenuto su cui ragionare.
E il centrodestra? Nel disastro generale, è paradossalmente più avanti. C’è Letizia Moratti vicepresidente, già piazzata a prendere in mano la Regione ma con il rischio concreto di bruciarsi con le mille insidie della pandemia. E poi ci sono i “giorgettiani”: Massimo Garavaglia, che oggi fa il ministro e domani chissà, o perché no, l’uomo assai stimato da Salvini, Guido Guidesi. Insomma, almeno tre opzioni futuribili. A ben vedere, una situazione migliore rispetto a quella di Milano dove si vota tra tre mesi.