GranMilano
Recovery mafie
L’allarme di Assolombarda e Confcommercio su usura e infiltrazioni in pandemia
La vecchia guardia se n’è andata. L’ultimo a passare la mano è stato Sante Notarnicola, uno dei duri della banda Cavallero. Si becca l’ergastolo e nel 1978 il suo è il primo nome della lista di tredici detenuti da liberare indicati dalle Br in cambio del rilascio di Aldo Moro. Luciano Lutring, il “solista del mitra” (teneva l’arma in una custodia da violino) non ha mai ammazzato nessuno. Uscito di galera si è dato alla pittura. Rossano Cochis, detto Nanu, è morto, dopo anni in carcere, per un tuffo dal gommone nel mare del Gargano. Renato Vallanzasca, re della Comasina è ancora in carcere, dopo rapine, sequestri, omicidi, e quattro ergastoli. In semilibertà dopo più di trent’anni dietro le sbarre, l’hanno beccato a rubare in un supermercato: una montatura, dice lui.
Ma la mala di un tempo è finita. Oggi le mafie dominano il territorio spesso senza sparare un colpo, anche a Milano, dove proliferano gli impiegati del crimine sul libro paga della ‘ndrangheta e delle altre mafie. Ed è per questo che – con la crisi pandemica che strozza le imprese – le maggiori associazioni imprenditoriali corrono ai ripari. A scendere in campo sono Assolombarda e Confcommercio, per arginare il malaffare che guarda con interesse crescente le risorse del Recovery fund in arrivo e la città dei servizi. “Oggi la mafia in Lombardia – spiega Antonio Calabrò, vicepresidente di Assolombarda con delega alla Legalità – coinvolge un numero sempre più consistente di imprese, grazie alla sua capacità di offrire soluzioni rapide, servizi a basso costo e prestiti in denaro. Dobbiamo dunque prestare la massima attenzione: gli effetti della pandemia hanno prodotto una notevole espansione sia degli interessi sia della sfera d’azione della criminalità organizzata”. Anche Confcommercio si muove. Carlo Sangalli ha lanciato l’allarme usura, “che nei momenti di crisi diventa una vera e propria piaga sociale”. Nel 2020, le imprese del commercio, alloggio e ristorazione hanno subìto “una drammatica riduzione del volume di affari e oltre un terzo si è trovato stretto in un combinato disposto pericolosissimo, cioè la mancanza di liquidità combinata con una difficoltà sostanziale di accesso al credito. Senza fatturato, senza liquidità, senza credito, e con i costi da pagare – osserva Sangalli – è facile capire quanti imprenditori rischiano di essere facili prede per la criminalità organizzata”.
Dal 2019 ad oggi la quota degli imprenditori che ritiene esploso il fenomeno dell’usura è aumentata di 14 punti. E sono a rischio circa 40 mila imprese del commercio, della ristorazione e dell’alloggio. A Milano Confcommercio, settimane fa, ha lanciato un sondaggio su 773 imprese, registrando l’incremento degli episodi criminali che va dal 57 per cento di Milano città, al 59 nell’hinterland. Per il 45 per cento delle imprese sono inoltre aumentati i fenomeni di usura o le offerte d’acquisto delle aziende a un valore inferiore a quello di mercato. Utilizzando i dati delle indagini di Banca d’Italia si può stabilire una platea di soggetti potenzialmente esposti all’usura a livello nazionale, esplorando il perimetro delle imprese che, pur avendo richiesto un prestito, non l’hanno ottenuto o l’hanno attenuto in forma ridotta. Queste imprese sono circa 295 mila.
L’inquinamento economico costa 215 miliardi l’anno, 22 dei quali alimentano l’economia illegale. La Lombardia è al primo posto, col 17 per cento: ben 4 miliardi il “fatturato” dell’economia fuori legge. Per la Banca d’Italia il 18 per cento delle operazioni in Lombardia sono sospette.
Durante l’incontro di ieri in via Pantano dedicato alla legalità, Alessandra Dolci, responsabile della Dia di Milano, ha presentato una fotografia delle infiltrazioni e degli obiettivi delle cosche nella crisi pandemica. “Abbiamo osservato in Lombardia un’anomala crescita della creazione di nuove imprese, scatole vuote che consentono alla criminalità di intercettare i flussi finanziari destinati alla riattivazione delle attività economiche, come le somme erogate a fondo perduto dall’Agenzia delle entrate”. Il vaccino, in questo caso, parte dalla “costruzione di un credito più accessibile e con tempi di erogazione più vicini alle esigenze delle imprese e di un ambiente normativo e burocratico semplice e trasparente”. All’orizzonte ci sono le risorse del Recovery fund, “che rischia altrimenti di essere compromesso da infiltrazione criminali”, conclude Calabrò.