GranMilano
Luca Guelfi, imprenditore del food, spiega come rifare la ristorazione
Svecchiare l'osteria dei vicoletti aggiornandone la tradizione, permettere di mangiare a qualsiasi ora, contenere gli sprechi, importare le pennette al salmone e l'ossobuco a Los Angeles
Allora era la Milano degli affari, dei manager rampanti, degli yuppies. Erano i mitici anni 80, la Milano da bere, dei paninari in piumino Moncler e delle pennette al salmone. Se il primo resiste imperturbabile agli anni e alle mode, le seconde erano sparite per lasciare il posto alla cucina giapponese. Una Milano in continua evoluzione in ogni ambito, a cominciare dal food. Così pronta a cambiare che pure le retromarce vanno bene. Come quella di Luca Guelfi, imprenditore del food e patron di diversi ristoranti a Milano che s’è inventato un locale, “Dal Milanese”, che presenta un menù che ripercorre i piatti della Milano da bere. “La chiamo trattoria più che ristorante – spiega – perché di cucina milanese si tratta, quella dimenticata”. Nonostante virus e chiusure a gogo, ecco l’idea che è già vincente: far resuscitare gli anni 80.
“L’inizio del 2020 dava segnali entusiasmanti, hotel e ristoranti sempre fully booked. Con l’arrivo del Covid la città, e il mondo, si sono fermati e tutti i progetti sono stati cancellati. E’ stato un anno terribile, soprattutto per la ristorazione. L’idea di aprire un ristorante dedicato alla mia città ha lo scopo di celebrarla e contribuire a farla tornare come l’avevamo lasciata”. Dal Milanese, quarto locale in città di Guelfi, che ne ha altri lontano dalla Madonnina, sta sempre in quel che è il suo quartier generale, tra via Premuda e via Archimede. Lì, come per miracolo, sono tornate le farfalle al salmone, il cocktail di gamberi, il filetto al pepe verde.
Ma quello che più conta, e attorno a cui ruota la nostra conversazione, è fuori dal piatto: la gente nei ristoranti tornerà, certo. Ma per far risorgere una ristorazione da pubblico globale, giovane, in una metropoli che cambierà ritmi, orari, dislocazione del lavoro non bastano i bravi chef, servono le idee di un sistema imprenditoriale. “Abbiamo ringiovanito il concetto di trattoria. Le persone andavano a mangiare l'ossobuco o la cotoletta nei soliti posti dove l'ambientazione era ed è stantia. Abbiamo voluto avvicinare i giovani al concetto di cucina milanese. Quindi abbiamo creato un’atmosfera internazionale con luci particolari, musica di sottofondo molto curata con tutti pezzi da Mina a Vanoni, Gaber, Jannacci e anche questo tipo d’impatto è rivolto a far conoscere ai giovani quello che era l’eccellenza di Milano, e al contempo scatenare un ricordo in chi ha già vissuto quegli anni”.
La novità vera è una trattoria milanese rivolta ai ragazzi e a un pubblico eterogeneo e non “classico”. “Era difficile trovare in posti tipicamente milanesi i ragazzi di 25/30 anni. Ma domenica abbiamo fatto 190 coperti lavorando solo nel dehors. Mai vista una cosa del genere nemmeno con Milano alla ribalta”. Un’altra caratteristica è quella del locale sempre aperto, si può mangiare anche nel pomeriggio a qualsiasi ora. “Secondo me quello che abbiamo vissuto, ci porterà anche a cambiare un po’ gli orari della cena”.
Però, bisogna ammetterlo, non è facile voltar pagina dopo un anno così. “Molti ristoranti, e penso a un 45 per cento, forse non riapriranno perché questa situazione ha messo alla corda in tanti. Sarà una selezione naturale, economica ma, a questo punto, anche di capacità: nel senso che in troppi si erano improvvisati ristoratori. Non staranno più in piedi perché in passato non hanno gestito da professionisti la loro attività. Pensavano al ristorante come a un guadagno facile, mentre la ristorazione è probabilmente uno dei lavori più difficili, devi stare attento a tutto, dal costo di un tovagliolo a quello di una candela, devi cercare di non sprecare nulla. Chi lo fa da tanti anni entra in questo meccanismo. Per imprenditori di altri settori può essere intrigante dire ‘apro un ristorante’, può essere figo, ma avere un locale vuol dire andare incontro a problematiche a centinaia. Alla fine la stanno pagando soprattutto quelli che non sono del mestiere”.
Un’idea milanese da esportazione. “Mi sono studiato un format perché ho intenzione di aprire un locale in America e spero di riuscire a svilupparlo bene. Porterò Dal Milanese a Los Angeles, sarà il primo. Milano è un brand riconosciuto in tutto il mondo, di eleganza, stile, eccellenza. Non esiste un ristorante milanese in giro per il mondo. Ci sono trattorie romane, siciliane, toscane ma milanesi no. Allora, mi son detto, la porto io la mia cucina milanese. Ce la metterò tutta”.