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In Lombardia, se si vuole parlare con Forza Italia, non si sa più chi chiamare
Dopo il default di Gabriele Albertini a candidato sindaco di Milano, l’unica risposta sembra essere quella del sempre giovane Maurizio Lupi. Ma Salvini non lo vuole
E’ sotto la Madonnina che si consuma il penultimo atto di Forza Italia. L’ultimo colpo è arrivato da via Negri, dove ha sede la redazione del quotidiano di famiglia: il Giornale. Alessandro Sallusti, al timone da una decina di anni, lascia i Berlusconi per approdare agli Angelucci. E dopo aver parcheggiato il quotidiano tra le mani di Livio Caputo (classe 1933), l’editore del Giornale sta “tentando” Nicola Porro, volto retequattrista di Mediaset. Ad Arcore, con le defezioni di Francesca Pascale, e Maria Rosaria Rossi, dopo la fuga di Paolo Romani – amico catodico del Cav. – tra le braccia di Toti (non prima di aver piazzato il figlio al Pirellone) il cerchio magico di un tempo si è dissolto. Così che anche in Lombardia Forza Italia si va sgretolando. L’ultima dirigente di rango che, tra mille difficoltà, era riuscita a tenere in vita un partito sempre più monarchico e acefalo è stata Mariastella Gelmini: temuta, rispettata, detestata da alcuni.
Prima dell’ingresso nel governo Draghi, era riuscita a tenere il filo del rapporto tra Berlusconi e gli amministratori locali, sempre più attratti però dalla doppia offerta: di Matteo Salvini e di Giorgia Meloni. “Se devi parlare con Forza Italia in Lombardia – confessa un luogotenente di Salvini di stanza al Pirellone (che preferisce restare nell’ombra) – non sai a più a chi telefonare”. Resta solo Licia Ronzulli (già infermiera al Galeazzi e poi super mediatrice nella vendita del Milan), nominata da Berlusconi “responsabile dei rapporti con gli alleati”. Ma, tra i consiglieri rimasti fedeli a FI, c’è chi insinua: “Ronzulli è da sempre troppo vicina a Salvini”. Sta di fatto che la fuga da Forza Italia continua: il sindaco di Sesto San Giovanni (la ex Stalingrado), Roberto Di Stefano è passato tempo fa armi e bagagli (e moglie) con Salvini, mentre l’eurodeputato Stefano Maullu ha scelto la sponda di Giorgia Meloni. Il coordinatore regionale, Massimiliano Salini, ciellino, persona preparata, preferisce il suo ruolo a Strasburgo. Quando è a Milano tenta di contenere la grande fuga dei suoi al Pirellone. In vista delle prossime elezioni, con Forza Italia al 7 per cento (se va bene) infatti lo sport preferito, per chi vuole restare in sella, è accasarsi altrove.
E poi c’è il Cav. Chi frequenta la dimora di Arcore non ha molto da dire, il Cav. ha passato gli ultimi mesi tra Châteauneuf-de-Grasse, Valbonne, nel villone della figlia e il San Raffaele. Qualche telefonata, pochissime call su Zoom e a tirare le fila da Roma un algido Antonio Tajani. La macchina da guerra di Silvio Berlusconi è rimasta senza munizioni e con un esercito in ritirata. La ridotta di Milano, alle amministrative, può rappresentare la vita o la morte per il movimento nato nel ’94, ma serve il candidato giusto, per insidiare Beppe Sala.
Dopo il default di Gabriele Albertini l’unica risposta sembra essere quella del sempre giovane Maurizio Lupi, che Salvini non vuole. Anche perché un Sala a trazione smart-green, formato “15 minuti”, che, invocando nuove alleanze politiche (mentre ha già creato in laboratorio sei nuove liste), mette in un angolo il Pd, fa fatica a convincere l’anima riformista della città. Si apre una ferita nel fragile tessuto socio politico ambrosiano: i moderati rischiano di perdere ogni riferimento. Nella patria del riformismo, dove né Matteo Renzi né Carlo Calenda hanno saputo far germogliare la loro offerta politica, l’addio di Forza Italia rischia di portare con sé una parte necessaria della cultura ambrosiana.