Gran Milano

Aiuto, il white flight! Segregazione razziale nelle scuole in città 

Cristina Giudici

Le fuga degli alunni italiani dalla scuole pubbliche lascia spazio agli studenti di origine straniera e finisce per impedirne l'integrazione. Indagine su un circolo che si autoalimenta. 

Il termine urtante white flight (la fuga dei bianchi) è apparso per la prima volta in Italia in uno studio del Politecnico pubblicato da Franco Angeli nel 2017 (White flight a Milano, la segregazione sociale ed etnica nelle scuole dell’obbligo) per lanciare l’allarme sulla ghettizzazione degli allievi stranieri e dei residenti nelle periferie come esito della “fuga degli italiani” verso le scuole private o più qualificate. In America se ne parla dagli anni 60 e in Europa del nord, dalla Danimarca all’Irlanda, il rischio della fuga bianca è entrato nel dibattito pubblico già da diversi anni.

 

Ora il tasso di segregazione scolastica è stato adottato anche nei lavori della direzione Educazione e istruzione del Comune di Milano come indicatore di squilibrio sociale nelle scuole più periferiche, per capire come contrastarlo. Sembra un po’ eccessivo per una città che non è Detroit, eppure. Si tratta di una semplice, forse riduttiva, equazione: se le scuole dell’obbligo hanno un tasso di iscrizione molto basso dei minori italiani residenti nel proprio bacino di utenza, vengono considerate “scuole segregate” perché il white flight ha creato lì un’eccessiva concentrazione di allievi più svantaggiati, in maggioranza di origini straniere. Soprattutto nelle zone più problematiche, che a Milano sono 25.

 

I dati più significativi riguardano le medie inferiori. In cima alle classifiche delle scuole white flight nel biennio 2019-2020 c’è la scuola media dell’istituto comprensivo Giacosa (zona Turro-Nolo) con quasi il 90 per cento di studenti stranieri: il tasso di segregazione calcolato è del 36 per cento. Ma al contempo l’altra scuola media dello stesso istituto ha un tasso di segregazione del 4 per cento, sebbene gli stranieri siano il 66 per cento. Come mai? Semplice: la criticità viene quantificata in base alla corrispondenza fra iscrizioni e bacino di utenza: se non si registra una fuga verso altre scuole e se anche gli italiani studiano negli istituti del proprio bacino, per fare un’estrema sintesi. Nella lista nera si trova anche la media Tito Livio di via Monte Velino (Calvairate): il 65 per cento degli studenti hanno origini straniere e il tasso di segregazione supera il 27. Dalla classifica ricostruita dal Foglio, quelle che hanno una percentuale critica sono circa 30. Le altre hanno una percentuale di segregazione sotto il 5 e solo 20 vengono promosse con un segno negativo. La scuola Panzini di via Giusti a Chinatown rappresenta invece un esempio di integrazione. I minori residenti fra gli 11 e i 13 anni del bacino di utenza sono 273. Non è dato sapere quanti siano sino-italiani e quanti italiani da molte generazioni ma l’equilibrio sulla carta è stato raggiunto.

Viene da chiedersi se il white flight sia un criterio che possa fotografare fedelmente la realtà. Secondo la responsabile della commissione Educazione di Palazzo Marino, la consigliera comunale Marzia Pontone candidata nella lista Sala alle prossime amministrative, si tratta di dati che servono a contrastare la ghettizzazione: “Un indicatore utile per capire come fare a investire meglio le risorse e porre dei correttivi. Se le scuole non sono in grado di offrire un percorso educativo adeguato, l’esodo continuerà. Soprattutto se non si riesce a migliorare il contesto complessivo di un quartiere. Fare la fotografia delle scuole medie è giusto perché si tratta di uno spartiacque fondamentale che incide sul futuro di tanti adolescenti”. Infatti a guardare i dati ci sono troppi residenti che, indipendentemente dal background, in certe scuole non si iscrivono proprio. “Può sembrare discriminatorio fare la graduatorie delle scuole in base alla concentrazione degli stranieri, ma in tanti istituti il problema della conoscenza della lingua italiana è un ostacolo ancora insormontabile che rallenta l’apprendimento”, spiega Sara Gargiuolo, rappresentante di classe in una scuola del Giambellino dove sua figlia è l’unica italiana in classe.

E non è un caso se al Corvetto la scuola con minor tasso di segregazione sia la scuola media di via Martinengo dove dal 2017 è stata avviata una didattica inclusiva con la partecipazione attiva delle famiglie. I 448 minorenni fra gli 11 e 13 anni residenti nel bacino d’utenza si sono iscritti tutti nel biennio 2019-2020 e ne sono arrivati diversi da altre zone. Sia italiani, sia stranieri (38 per cento) con rischio di segregazione calcolato al 10. Alcuni dati paiono apparentemente paradossali. La scuola di via Boifava allo Stadera (27 per cento di allievi di origine straniera) e quella di via Solferino (54 per cento) hanno entrambe un rischio zero di segregazione. Dalla mappatura dal Foglio emerge in modo allarmante che negli stessi quartieri, a poche centinaia di metri l’una dall’altra, ci sono scuole con popolazioni scolastiche nettamente diverse.

Si potrebbe obiettare che una scuola solo “bianca” non garantisce un’educazione aperta alla diversità, ma chi scappa non lo fa per forza per razzismo: fugge dal degrado di scuole che hanno fallito la propria missione, non dagli stranieri. A  Milano la scelta del 20 per cento delle famiglie italiane di optare per scuole private e oltre il 35 per cento di iscrivere i propri figli fuori dal proprio territorio ha fatto scattare l’allarme. Il white flight, esiste.

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