Gran Milano
Il futuro di Sondrio
In Valtellina finisce un’èra bancaria e iniziano i grandi giochi. Il giallo degli azionisti
Valtellina caput mundi. La Banca popolare di Sondrio, con la trasformazione in società per azioni che dopo la sentenza del Consiglio di stato dovrà avvenire entro quest’anno, sta per iniziare un processo di apertura verso il mercato dopo un secolo e mezzo di isolamento nei confini lombardi garantito dal modello della banca cooperativa. La Sondrio nacque nel 1871 e trent’anni dopo arrivò il Credito Valtellinese. Entrambe le banche, nate con una vocazione mutualistica, hanno contribuito a trasformare le valli valtellinesi, fino a metà Ottocento un caso da manuale di abbandono e povertà, in un territorio ricco e laborioso la cui vicinanza alla Svizzera è stato un punto di forza per costruire un’economia e una finanza transfrontaliere.
Dopo che il Creval è passato al gruppo francese Credit Agricole, al termine di un’opa molto sofferta, adesso anche la Sondrio sta per entrare nell’orbita della grande finanza alle cui lusinghe ha tentato di resistere fino ai limiti imposti dalla legge. Come un Fort Apache, fiero della sua storia e delle sue tradizioni. Questa premessa è necessaria per comprendere lo spirito dei luoghi dove vive la gran parte dei 160 mila soci che oggi compongono l’azionariato della Popolare di Sondrio e che a breve saranno convocati in assemblea per votare la trasformazione in spa, dire addio al voto capitario e salutare l’arrivo di una nuova epoca che potrebbe prevedere l’integrazione con la modenese Bper dopo che la sua controllante (la compagnia assicurativa Unipol) è diventata il primo socio.
Ebbene, di quest’azionariato così diffuso si sa molto poco su come si è evoluto nell’ultimo anno. In questo periodo, infatti, il titolo della banca guidata da Mario Pedranzini ha fatto giravolte pazzesche in Borsa, tutte in salita, il prezzo ha superato la soglia di 4 euro con una crescita del 250 per cento rispetto a giugno del 2019. L’attenzione degli investitori è stata massima proprio perché nell’aria c’era un cambiamento epocale. Pacchetti di azioni anche molto vistosi sono passati di mano e secondo alcune fonti finanziarie ammonta al 15 per cento la quota di capitale della Sondrio transitata verso nuovi investitori di cui non si conosce l’identità. Un piccolo giallo, insomma. Voci si rincorrono sul posizionamento di alcuni soggetti finanziari a titolo puramente speculativo, mentre altri osservatori scommettono che dietro questi movimenti ci possa essere Banco Bpm che non ci sta a restare a guardare mentre Pop Sondrio e e Bper si uniscono tagliando fuori la banca milanese. Nulla è escluso in questa fase, in cui si definiscono i giochi e si consolidano gli schieramenti.
Ad oggi, le uniche certezze sull’azionariato sono che il fondo Amber Capital detiene il 6,2 per cento, acquistato nel 2015 in un’ottica finanziaria, per cui potrebbe puntare a valorizzare l’investimento ma non avere l’ambizione di diventare un socio stabile, e che Unipol è arrivata ad accumulare il 9,5 in varie tappe, avendo come obiettivo la costituzione del terzo polo bancario del paese. Tutti gli altri nomi sono custoditi dal libro soci e si conosce solo qualche caso famoso come quelli di Silvio Berlusconi e di Francesco Baggi Sisini, l’editore della Settimana enigmistica, che hanno piccole partecipazioni ma sufficienti a garantire ricche plusvalenze. Il quadro, insomma, è in gran movimento.
Qualche sorpresa potrebbe arrivare dal fronte dei soci storici che ha difeso strenuamente l’identità cooperativa della banca valtellinese nel lungo contenzioso arrivato fino alla Corte di Giustizia europea e sul quale ha detto l’ultima parola il Consiglio di stato. I nomi si leggono nel dispositivo della sentenza: Marco Vitale, Alfredo Ardenghi, Roberto Ardenghi, Dono Patrizio, Aldo Pedeferri, Paolo Donzelli, Emilio Luigi Cherubini e Adriano Parrini. Ebbene, secondo l’interpretazione del collegio legale, la sentenza, pur riconoscendo la piena legittimità della riforma delle popolari varata dal governo Renzi, e a cui questi azionisti si erano opposti, lascia margini di libertà nelle modalità operative con cui organizzare la trasformazione in spa. In particolare, non vi sarebbe alcun divieto di utilizzare una holding intermedia (costituita anche da soci che hanno lo status di cooperativa) che a valle controlli l’attività bancaria sotto forma di spa. Una soluzione che, secondo questi soci, sarebbe l’ideale per dar vita a un polo bancario tutto lombardo insieme ad altre Bcc. Difficile, però, che a questo punto abbiano abbastanza peso per far prevalere la loro idea.