GranMilano
La destra non c'è
Fosse solo il candidato a non trovarsi. Mancano idee, progetti e una visione
Mancasse solo il candidato, al centrodestra, sarebbe il male minore. E anche se improvvisamente Matteo Salvini dovesse tirar fuori dal cilindro un mago, che abbia la formuletta magica per interpretare il pensiero del cinquanta per cento dei milanesi (memo per i partiti e candidati: Milano è sempre contendibile, è stata di centrodestra e di centrosinistra, e Beppe Sala lo sa bene). E anche se Giorgia Meloni decidesse di lasciar perdere la balcanizzazione della coalizione di destra almeno nei territori del nord, in una battaglia nazionale che a Milano è prematura. E se anche Silvio Berlusconi, che fa sapere di stare meglio, auguri, si rivelasse una volta di più il grande bomber che è sempre stato, e partorisse dalla mente di Giove – come lo chiamava un tempo Gabriele Albertini – un altro Gabriele Albertini. E se anche tutto questo arrivasse a termine, con il parto cittadino più complicato degli ultimi quindici anni, quello di trovare il candidato che non c’è, il problema non sarebbe comunque risolto. Anzi.
“La verità – sussurra agli amici Roberto Tasca, uomo dei conti di Sala che ha finito il suo turno di guardia a Palazzo Marino – è che a Milano la destra non c’è più”. Descrizione forse troppo severa. Ma è certo che a Milano ci sono gli elettori di centrodestra, ma mancano i programmi, le idee, gli interpreti e partiti che sappiano interpretare tutto questo, anziché misurarsi in logoranti guerre di posizione. Non basta dire basta, dire che non si vuole quello che ha fatto l’amministrazione uscente. Albertini aveva un programma, cose da fare, in cui affaccendarsi per far sognare i milanesi. E i milanesi hanno sognato. Letizia Moratti aveva promesso un sogno, l’Expo. E Giuliano Pisapia aveva girato tutti i quartieri periferici, promettendo una nuova attenzione, una nuova gestione della sicurezza, Milano città aperta: vinse di dieci punti (ineguagliato). Infine Beppe Sala, che arrivava dalle Esposizioni ed era una promessa in nuce, con i Navigli aperti (sciagurata idea accantonata) e ancora una volta le periferie, e una gestione manageriale, e il green e gli scali e la transizione ecologica e le piste ciclabili. Criticabili, ma parte di un programma, innegabilmente. Pierfrancesco Maran, la mente più lucida e brillante della giunta, criticabile ma protagonista della vicenda degli Scali.
La destra che programma ha, per Milano? Come pensa di declinare la nuova esigenza urbanistica di presìdi di salute, la nuova esigenza di mobilità, la nuova esigenza di lavoro, del commercio, l’epoca post Covid? Modello culturale: la Scala e il Piccolo iper sovvenzionati e agli altri briciole, o si può pensare a una migliore collaborazione col privato, stile Teatro Parenti ma non solo? Partecipate: cassaforte o bracci operativi? Sottomesse e funzionali oppure libere e indipendenti? Case popolari: gestore unico oppure gestori suddivisi? Acqua: gestore unico oppure gestori suddivisi? Visione da città metropolitana, o solo cittadina? Ve lo ricordate Salvini quando diceva di pedonalizzare il centro di Milano? Era un’idea, pure buona, perché il Salvini consigliere comunale conosceva Milano assai bene, i marciapiedi di Barona e gli odori cattivi di San Siro, il deserto di piazza Duomo di notte. A sinistra ci sono i Boeri, i Resta, i Bassetti e i Guzzetti: gente che ha visioni. Milano si merita idee anche da destra, e invece non ha nulla, ad oggi. È sconfortante, e un candidato dal cilindro avrà questo scoglio da superare ben prima e ben di più della conoscibilità e del giudizio dei milanesi. Perché i problemi irrisolti si ripropongono ex post, in caso di vittoria, come lezioni mandate a memoria e non digerite.
Non è neanche una questione di programma, ma di identità di base, di lavoro di scavo e studio e ascolto. Qualcosa che devi avere dentro, che deve essere radicato nella classe dirigente e che ora non si vede. Le urne si avvicinano, il candidato non c’è, e neanche le idee. I milanesi quando voteranno saranno feroci, come nella canzone del Boss, e il risultato impietoso con i vincenti e perdenti: non devi finire dalla parte sbagliata di quella linea”. Altrimenti, caro Matteo, dietro quella linea di Milano, e Roma, e Napoli, muoiono i sogni futuri di riforma del paese.