Reti, lo spazio dell'azienda come cultura
Non un museo ma una collezione dinamica che crea un'unione felice tra innovazione e contemplazione. Nel segno di Olivetti
Stanno aspettando la luce giusta di luglio, o una sera dell'estate, per la loro performance. Goldschmied & Chiari, famose donne artiste, spareranno fumogeni colorati per catturare in immagini le sinfonie di tinte tra i fumi in un luogo inconsueto: un’azienda, anche quella, unica nel suo genere. Perché il vero artista, Bruno Paneghini, imprenditore illuminato con la passione per l’arte, ha voluto inserire negli spazi quotidianamente occupati da chi lavora nella sua impresa una collezione d’arte, la sua, composta da quadri e sculture di nomi famosi. Per rendere le giornate più piacevoli e fonte di dialogo e curiosità. “Le due artiste genereranno delle opere e una particolare installazione”, racconta il presidente e ad che ha fondato, nel 1994, Reti, società benefit e B Corp quotata su AIM Italia, uno dei principali player italiani dell’IT Consulting: una realtà lombarda che sta attraversando un periodo di forte crescita, confermata, tra l’altro, dall’annuncio delle 70 nuove assunzioni entro il 2021 con l’impegno di aumentare la percentuale di donne.
La sede è a Busto Arsizio in un ex cotonificio e lì, in un contesto unico nel suo genere, trova spazio la Collezione Paneghini. “La mia passione per l’arte – continua l'imprenditore – è abbastanza recente, risale a una decina di anni fa, quasi per caso. Mia moglie ed io cercavamo di cambiare volto alle pareti di casa e abbiamo iniziato a studiare e documentarci”. A beneficiarne sono stati i muri e gli spazi aziendali con oltre 250 le opere di artisti come Isgrò, Kounellis, Marina Abramovic, Nunzio Di Stefano, Claudio Parmiggiani, Peter Halley, Piero Dorazio, Omar Galliani e molti altri. “L’esposizione in azienda cambia, è in continuo divenire. Non volevamo un museo, che compete alle istituzioni, ma qualcosa di dinamico”. Così la stessa struttura industriale è stata rigenerata con l’obiettivo di offrire all’azienda spazi nuovi e innovativi per crescere, professionalmente e umanamente, e favorire l’incontro e il lavoro di qualità.
Gli spazi, modellati sulla particolare visione di Paneghini, non a caso un ex olivettiano, accolgono una parte della collezione creando una felice unione tra innovazione e contemplazione. Inoltre: “Il progetto del Campus Reti, che si articola in 6 edifici principali, è nato per dare spazio alla formazione dedicando ampie metrature alla didattica sia per i collaboratori di Reti sia per fruitori esterni”. Estetica e sostanza. Quanto di tutto questo arriva dall'esperienza di Olivetti? “Tantissime sono le analogie. Una delle cose fondamentali che mi sono portato dietro è la considerazione per la persona messa sempre al centro, ma con una formazione specifica. Reti, dopo 27 anni, investe ancora molto nella formazione, che spesso i concorrenti vedono come un costo, quasi come una perdita. In realtà si va a valorizzare chi è affamato di conoscenza”.
Da una decina d'anni è nata una sorta di Academy per ospitare una vera e propria scuola, “l’università della professionalità” dove si impara un lavoro. “Questo è molto simile a quello che si faceva in Olivetti che finanziava la preparazione di ragazzi disoccupati ma che avevano una grande passione. Ci tengo molto a sottolinearlo perché devo molto a Olivetti, l’umanità di Adriano Olivetti era concreta”. Ricordi indelebili: “Ero un ragazzino di vent’anni e sono stato selezionato per le mie attitudini, mi piaceva l’elettronica e ho partecipato a un progetto pilota sui computer”. Anche la partenza è stata simile: “Olivetti ha iniziato in grandissimi capannoni che, guarda caso, abbiamo anche noi. Avevano il problema di essere vecchi, di avere le finestre molto piccole e spazi angusti, caratteristiche che ritrovi anche da noi ma che abbiamo voluto coscientemente tenere perché si volevano riqualificare, e non proseguire con nuova cementificazione”. E ora c’è un’azienda aperta verso l’esterno. “Grazie al grande auditorium da 350 posti organizziamo eventi dove la cittadinanza è invitata. E’ anche un modo per rendere più tangibile il nostro lavoro, difficile da raccontare perché noi facciamo servizi immateriali. Noi parliamo di altissima tecnologia, di ciò che arriverà nelle aziende tra un anno o due. E spieghiamo quello che dovrebbe essere il nuovo lavoro”.