Gran Milano
Con il rossetto in Borsa. Arriva il big della Lipstick valley
Così il mercato dei trucchi studia la ripartenza dopo la crisi: a fare strada è Intercos, azienda leader di Agrate Brianza
Da quando è scoppiata la pandemia si è salvato solo il mascara. Fondotinta, fard e rossetti hanno dovuto combattere contro le mascherine che servivano e servono per proteggersi dal contagio. Il consumo mondiale di trucchi ha subito una batosta tremenda nel 2020 pesando sul giro d’affari di quella che l’Economist ha chiamato la “Lipstick valley”, la valle del rossetto, distretto industriale tra Milano, Bergamo, Crema e la Brianza, che con 500 aziende contribuisce per circa il 60 per cento all’export italiano di cosmetici. Ma adesso che il virus è più sotto controllo anche i fatturati delle aziende del settore sono in ripresa. Così, il gruppo Intercos, che della Lipstick valley è leader indiscusso ha pensato che questo è il momento giusto per riprendere il progetto di quotazione in Borsa che era stato accantonato proprio con lo scoppio della pandemia, quando l’azienda di Agrate Brianza al posto di ombretti, ciprie e rossetti, si mise a produrre gel igienizzanti insieme con il gruppo Campari, anche per dare una mano nell’emergenza.
Una parentesi che resterà come ricordo di un momento difficile nella storia di Intercos (passata a 637 milioni di ricavi pro forma nel 2020 da 712,7 milioni di fatturato nel 2019), che in mezzo secolo di vita ha conosciuto una crescita senza sosta fino a diventare una delle imprese italiane più corteggiata dai fondi esteri oltre che punto di riferimento del made in Italy nel mondo. Il gruppo è stato fondato nel 1972 da Dario Ferrari, imprenditore milanese figlio d’arte: la madre produceva creme per il corpo in Svizzera, ma lui, tornato a casa dopo un’esperienza di lavoro a Londra come pubblicitario, si mise a cercare la sua strada che trovò nella produzione conto terzi che gli è costata l’impegno a non comparire mai in prima persona e a coltivare una minuziosa attitudine alla riservatezza sui rapporti con i clienti. Per questo, forse, il nome Intercos non dice granché al grande pubblico. In realtà è una multinazionale (5500 dipendenti, 15 stabilimenti produttivi, 11 centri di ricerca distribuiti tra Europa, Asia e America) che studia, crea e vende prodotti di bellezza a quasi 700 operatori dell’industria cosmetica nel mondo, comprese le blasonate griffe francesi, il cui ruolo in questa catena del valore è di provvedere ad avvolgerli in confezioni accattivanti e a rivenderli.
La copertura per area geografica è ampia e anche quella per tipologie di clienti e fasce di prezzo. Fornire trucchi che vengono distribuiti dai supermercati fino alle più esclusive profumerie e boutique, è una formula che funziona da 50 anni, ha retto l’onda d’urto del Covid-19 e da alcuni anni si misura con un mercato che sta cambiando con il peso crescente degli influencer. Adesso Ferrari, che ha 78 anni ben portati (negli ultimi 30 ha gareggiato a vela vincendo diverse competizioni) ha deciso di portare Intercos a Piazza Affari per sviluppare ancora di più l’attività e “perseguire iniziative strategiche”. Di più l’azienda di Agrate Brianza non dice sui progetti per il futuro, che prima o poi dovranno affrontare il tema del passaggio generazionale (tre figli che lavorano in azienda: Arabella e Gianandrea Ferrari e Matteo Milani, primogenito della moglie Madina) sebbene, per ora, il fondatore intenda mantenere il controllo della società anche attraverso il meccanismo del voto maggiorato. A giudicare da com’è strutturata la quotazione in Borsa, con l’offerta destinata solo ad investitori istituzionali e non al pubblico dei piccoli risparmiatori (retail), si capisce che è arrivato il momento di un rinnovamento tra gli azionisti di minoranza esteri. A vendere azioni nell’ambito dell’ipo saranno, infatti, sia il gruppo di private equity franco-americano L Catterton che il fondo pensione statunitense degli insegnanti dell’Ontario, entrambi entrati nell’ultimo decennio nel capitale di Intercos fiduciosi nelle sue potenzialità di crescita. Mentre dovrebbe restare stabile la presenza, indiretta attraverso la holding di controllo, del Gic, il fondo sovrano di Singapore arrivato da poco. La porta, insomma, è aperta a nuovi soci.