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Giancarlo Pagliarini, storico dirigente leghista, spiega perché ha ragione Giorgetti
"È un bravissimo democristiano e il suo lavoro lo fa davvero bene. Il Carroccio ha abbandonato il nord. Salvini ha perso perché non propone più una riforma federale. Perché un milanese dovrebbe votarlo?". L'intervista all'ex ministro, storico dirigente della stagione Bossi
"Tutto sommato sono d’accordo con Giorgetti. Se il presidente della Repubblica avesse più potere cambiando la Costituzione o interpretandola in un altro modo, allora Draghi faccia il presidente. Basta che impedisca ai partiti politici di fare la caccia al voto”. Quindi, visto che l’attuale ministro dello Sviluppo economico è in contrasto con il suo capo Matteo Salvini, lei che fa, si schiera con l’opposizione interna? “Giorgetti è un bravissimo democristiano e il suo lavoro lo fa davvero bene. Se dobbiamo fare una classifica, al primo posto metto De Gasperi poi Fanfani e poi Giorgetti. Non fa rebelott all’interno della Lega, si comporta benissimo nel partito, le cose che deve dire le dice e le fa, è ascoltatissimo. Mentre se a Salvini piace fare il segretario lo faccia, è anche bravo a portate a casa voti e quindi va bene”. Parola di Giancarlo Pagliarini, “il vecchio Paglia”, storico dirigente del Carroccio di Umberto Bossi, che abbandonò la Lega per tempo, vedendone tradito il sogno autonomista. Ora, raggiunto dal Foglio nel suo buen ritiro di Zoagli (“faccio l’affittacamere, ho un monolocale che piace tanto agli stranieri”), non ha certo voglia di infilarsi nello scontro politico del suo ex partito, ma parlare con lui fa ben capire dove batta (ancora) una parte consistente del cuore leghista.
Il nord. Eh, la questione sta sempre lì, il nord trascurato se non dimenticato. “La Lega crolla perché ha abbandonato il nord”, dice convinto il Paglia. Già ministro del Bilancio del primo governo Berlusconi, e ora nominato presidente onorario del “Comitato Rete 22 ottobre per l’Autonomia” (data del dimenticato referendum di maroniana memoria), non ha dubbi sulla debacle elettorale. “Salvini ha perso perché non propone più una riforma federale. Perché un milanese dovrebbe votarlo?”. Le sembra che nell’aria ci sia un ritorno all’autonomia? “È il punto cruciale. Non è per aiutare il nord ma per poter far andare meglio il sistema paese. L’ho sempre vista così. In Svizzera i quattro partiti che sostengono il governo la chiamano formula magica, altrimenti c’è la tirannia della maggioranza e non mi piace per niente”. Rappresenta anche la situazione italiana attuale, come dicono i sovranisti? “No. È giustissimo avere un governo come quello di adesso ma manca l’abitudine a confrontarsi. Prendiamo il voto sul ddl Zan, è incomprensibile che non abbiano voluto trovare un punto d’incontro, è assurdo”.
Forse la gente lo percepisce e non va a votare. “È così, hanno votato quattro gatti perché i cittadini han capito che per i partiti è tutto un teatrino, frega nulla di quello che serve a far funzionare il sistema paese”. Addirittura. “Ma certo. I partiti invece di pensare ai cittadini pensano a comperare i voti, anche cash: reddito di cittadinanza e quota 100, fatti in questo modo, sono uguali a comprare cash. Ma farli pagare a quelli che non sono ancora nati con il debito pubblico è una assurdità”. E allora Draghi che ci sta a fare? “Santo Draghi, lo definisco. Solo lui riesce a frenare i partiti politici dal combinare guai”. Per questo preferiscono che vada al Quirinale? Giorgetti indica una sorta di semipresidenzialismo draghiano, una visione lontana dalla linea di Salvini. Lei è per un ritorno alla vecchia Lega? “La Lega non è né meglio né peggio, è ormai un partito come gli altri. Come ministro dell’Interno Salvini mi era piaciuto, salvo che non andava alle riunioni dell’Unione europea, era gravissimo”.
Ma la sua “Rete 22 Ottobre per l’Autonomia” diventerà un partito? “Per il momento no, e non è certo nelle mani mie, i prossimi che compio sono 80 di anni. Cerchiamo di fare cultura sul referendum. Il 5 giugno ci siamo ritrovati a Sabbioneta e abbiamo identificato cinque punti programmatici votati all’unanimità, con le 29 sigle di autonomisti delle varie regioni, separatisti, indipendentisti, federalisti su cui eravamo tutti d’accordo per esempio tutti gli stati organizzati in maniera centralizzata non possono funzionare bene”. Se foste un partito dove vi ponete? “Al centro, lo dice il buon senso. Non ha più senso parlare di sinistra o destra, quello è lotta politica che per me non ha mai avuto il minimo senso. Ricordo un fatto che mi accadde, ero senatore da meno di due settimane: ascoltavo in aula un senatore del partito comunista, fece un discorso giusto sul debito pubblico e lo applaudii. Mi urlarono, “Pagliarini cosa fai? Non si applaude mai il nemico”. In questo senso Giorgetti è al posto giusto”.