gran milano
La molto fumosa stagione giudiziaria del Covid con manette
Le inchieste in corso riguardano l'istituzione della zona rossa a Bergamo, il disastro Rsa e altri nulla di fatto conditi da molta politica. Ma il processo a Fontana arriverà con le prossime elezioni regionali
Le fiamme gialle in Regione Lombardia, ormai da un bel po’ di mesi, quando arrivano non fanno più notizia. La Guardia di Finanzia ora viene avvistata qui, ora là. Acquisisce questo o quel documento, e tutto va avanti. Più o meno bene. Anzi, non proprio bene, visto che anni fa le visite erano sempre registrate con una certa sorpresa: ma non è più così. O tempora, o mores. A maggior ragione dopo l’inizio della pandemia e di decine di procedimenti giudiziari aperti praticamente su chiunque: a partire dal governatore Attilio Fontana. Inchieste, ma anche campagne di stampa, ma anche giochini politici. Tutto intrecciato, come nella maleodorante storia milanese, da Mani pulite in poi. A complicare il tutto, c’è il fatto che Francesco Greco, già a capo della Procura di Milano, se ne è andato in pensione, senza erede designato, e con qualche rattoppo da cucire: vedi il flop del processo Eni-Nigeria. Rimane di guardia Maurizio Romanelli, coordinatore del secondo dipartimento (reati contro la Pubblica amministrazione) e candidatosi a succedere a Francesco Greco malgrado non sia di certo il favorito. Pare che per la prima volta dal Dopoguerra possa arrivare un “Papa straniero” e che possa essere Marcello Viola, direttamente dalla procura generale di Firenze.
Romanelli ha apposto la sua firma alla richiesta di rinvio a giudizio per Attilio Fontana. Un esito ovvio, visto il clamore mediatico: come avrebbe potuto la procura richiedere l’archiviazione senza fare una figura barbina in mondovisione? Con tutta probabilità ci sarà anche il rinvio a giudizio, dunque il processo che durerà anni. Come finirà lo definiranno i giudici. Intanto Pierfrancesco Majorino, parlamentare europeo del Pd, la taglia velenosamente e alla giustizialista: “La domanda dunque è questa, ma mentre c’era la Lombardia in ginocchio lui faceva pasticci?”. Domande che sembrano affermazioni. Affermazioni pericolose, che potrebbero portare a nuove faide legali. Accuse che la procura dovrà riuscire a provare, e non pare operazione così semplice. Facendo due conti con i tempi della giustizia italiana è plausibile che il processo arriverà a giudizio più o meno nei mesi delle prossime elezioni regionali, previste per la primavera 2023. Quando il mandato della giunta sarà finito, Fontana potrebbe essere non ricandidato, e la questione politico-giudiziaria finita.
Il 18 ottobre intanto si era chiusa definitivamente la questione Rsa. Per i magistrati, “non è stata acquisita alcuna evidenza di condotte colpose o comunque irregolari, causalmente rilevanti nei singoli decessi, in ordine all’assistenza prestata”. Dunque tutto il rumore e quel sottofondo di “assassini, assassini!” contro il Pio Albergo Trivulzio, la Regione e altre Rsa accusati di aver lasciato morire gli anziani e di aver messo addirittura i malati di Covid nelle Rsa, era appunto rumore. Immotivato. Oggi c’è chi si spinge a dire che in effetti qualcosa c’era, visto che nelle motivazioni la procura avanza delle critiche. Però nessun reato, altrimenti avrebbe perseguito. Ma tanto basta a chi rimesta di professione.
Bergamo intanto continua a indagare. Tralasciamo la parte su Roberto Speranza, perché vale quel che vale, dichiarazioni stampa del procuratore che conduce le indagini a parte. Quello che pare certo è che sulla questione della mancata zona rossa (cavallo di battaglia di tutto il giornalismo italiano unito contro la maggioranza politica di Regione Lombardia), le responsabilità del Pirellone paiono minime, se non inesistenti. Dove è finita la narrazione secondo la quale Fontana avrebbe impedito la zona rossa per fare un favore a Confindustria? Nel nulla, perché era nulla. E non c’era nulla (ma come si sarebbe potuto ipotizzare il contrario?) neppure a carico di Mattia Maestri, il paziente numero uno, che ebbe la sfiga di prendersi il Covid per primo e pure di essere indagato per “epidemia colposa“. Intanto però indagine e poi archiviazione. Questa volta da parte della procura di Lodi.
Poi c’è il filone che riguarda Diasorin, incardinato a Milano e a Pavia, che ha come reato ipotizzato l’insider trading. Un insider trading quantomeno anomalo considerato il fatto che Alessandro Venturi, stando alle precisazioni della procura stessa, non avrebbe comunicato una informazione sensibile per consigliare l’acquisto di azioni. Con l’ipotesi di peculato invece si è mossa la procura di Pavia, sempre indagando i vertici del San Matteo (Venturi, appunto) e di Diasorin. Hanno chiesto una proroga delle indagini a fine gennaio. Da allora tutto tace. Nebbia fitta sul Ticino. E non ci scordiamo le mascherine “pannolino” Fippi. Anche là, grande scandalo. Il pm ha chiesto l’archiviazione il 18 agosto 2021, seppur mandando gli atti alla Corte dei Conti che dovrà accertare se c’è stato danno erariale.
Mentre le Procure lavorano ormai da quasi due anni, e di verità processuali ne arrivano poche (l’archiviazione del Trivulzio, più che altro) si inizia a delineare già una nuova narrazione politica. Quella della “giustizia dimezzata”, che alberga nei tanti commenti Facebook sotto gli articoli più giustizialisti: non li manderanno in galera perché sono “protetti”, perché la fanno sempre franca, perché sono politici, perché sono potenti e via discorrendo, con un livello a metà tra le scie chimiche, il terrapiattismo e la vittoria mutilata. Nessuno sfiorato dall’idea che probabilmente alcune di quelle inchieste, o forse tutte – questo lo decideranno i giudici – nascevano su onde spesso mediatiche, poi tutte da confermare nei fatti. Una cosa pare certa. Alcuni attori economici avevano minacciato di far causa a Fontana perché la sera del 26 febbraio aveva indossato la mascherina in mondo visione. Tuonavano: “Vale un punto del Pil”. L’allora ministro Boccia: “Non avrei messo la mascherina come ha fatto Fontana”. Santanché: “Non avrei fatto quel video”, Delrio: “poteva evitare”, Fratoianni: “Serve serietà”, Martina: “Era proprio necessario per il presidente Fontana farsi immortalare sui social con una mascherina alla bocca? Penso proprio di no”. Ecco, per quella mascherina messa un po’ storta, non lo processeranno. Ma neppure gli altri, per la sequela di cazzate dichiarate urbi et orbi con successiva marcia indietro.