Insalatiera Pirellone
Le elezioni regionali in Lombardia sono un caos come quelle per il Qurinale: in arrivo un Fontana bis?
A un anno dal voto per il Pirellone, è toto-nomi tra centrodestra e centrosinistra. Oltre alla personalità dei futuri candidati, servono idee forti per smuovere una burocrazia ormai impallata
Lui è a Roma, da Grande elettore del Quirinale, individuato in trattoria dopo la chiama con il collega Luca Zaia. Ma intanto, al Pirellone, il caos nell’insalatiera del prossimo voto regionale è un guazzabuglio come quello romano. Rebus di partiti e di destini personali. E il primo rebus riguarda proprio lui, Attilio Fontana. Lascia o raddoppia?
E’ la domanda che tutti si fanno in Regione, a proposito del governatore. Fino a qualche mese fa la seconda opzione pareva esclusa, seppellita sotto le inchieste e nel disastro della iniziale gestione della pandemia. E pure il presidente pareva davvero poco intenzionato a un bis: troppe sofferenze, anche personali, familiari. E invece, pian piano, le inchieste hanno subìto, una dopo l’altra, archiviazioni e sono di fatto scomparse: dissolte nel disastro epocale della procura di Milano. Una sola richiesta di rinvio a giudizio: questione camici. Così l’Attilio è tornato pimpante. Non si sa se si ricandiderà, perché l’incognita vera è il giudizio degli elettori. La domanda è là, ed è ineludibile: la gente avrà capito che la Lombardia è stata il primo luogo nel mondo colpito dal Covid, situazione eccezionale e imprevedibile? Che non è andato tutto bene, ma come sarebbe potuto andare tutto bene in una guerra? E soprattutto avrà registrato la fine di tutte le inchieste, oppure sarà rimasta, cosa probabile, alle paginate rumorose di accuse poi svanite? Il giudizio politico non è quello dei tribunali, e a volte è più spietato. Fontana lo sa bene, così come sa benissimo che la tattica più giusta, anche nel caso decida di lasciare, è di non dirlo adesso, anzi non dire niente. Altrimenti la tentazione, per Lega e alleati, sarebbe quella di scaricargli addosso la croce e le colpe, ripulirsi per bene.
Su questi silenzi di Fontana, pieni di significato, si giocano le prossime regionali. E’ tutto nelle mani di Matteo Salvini, chiamato a riscattarsi dopo la sconfitta di Milano. Si scalda Letizia Moratti, indifferente alle voci che l’avrebbero voluta al Colle, in una partita ancora aperta di silenzi e imbarazzi, di giochi e giochini. “No”, invece, l’hanno già detto a Salvini (così pare), sia Massimo Garavaglia che Giancarlo Giorgetti. C’è chi pensa a Gianmarco Centinaio o a Massimiliano Romeo. Il primo già ministro dell’Agricoltura che ruppe con il M5s con parole irripetibili in Consiglio dei ministri; il secondo alla guida dei senatori del Carroccio e uomo forte in quel di Monza.
Se il centrodestra ha due probabili candidati e due riserve che si scaldano, il centrosinistra invece ha un nome. Il Pd, che è evaporato prima nelle elezioni provinciali e poi, politicamente, nella contesa d’aula persa con il M5s per la scelta del grande elettore per il Colle (c’è chi dice che fosse stato addirittura già approntato il comunicato stampa per Fabio Pizzul, e invece nisba, è passato Dario Violi), vuole per le sue dinamiche interne il sindaco di Brescia, Emilio Del Bono. Ma il 5s Violi ha spiegato che no, niente sindaci con la tessera di partito: meglio la società civile. Qualche nome si è fatto, anche da quel punto di vista, come Carlo Cottarelli, tanto amato da Pierfrancesco Majorino, il cui silenzio potrebbe voler dire qualcosa. Ma non pare pista calda, forse è già freddissima. Su Del Bono è schierato Beppe Sala, che però non crede molto nelle chance di vittoria. Il numero uno bresciano non scalda, e comunque c’è chi pensa a qualche altra candidatura in seno ai Dem, che vada a scompaginare le carte. Per ora il nome dell’outsider è copertissimo, però ci si sta pensando. Il terzo vertice del triangolo porta alla sinistra radicale, perché il Pd sa che non si può permettere di buttar via neppure un voto, se davvero vuol provare a contendere la Lombardia. Che cosa faranno Sinistra italiana e compagni cantanti? Si vedrà.
Tra un nome e l’altro, sfugge il punto politico vero. La Lombardia non è contendibile soltanto per effetto della pandemia, ma perché esiste una debolezza politica profonda, determinata dalla fine della spinta propulsiva delle visioni formigonian-cielline che ne hanno forgiato la struttura amministrativa per due decenni. Strutture ormai stanche, burocrazia ormai imballata, che non ha mai visto una revisione profonda. Ora è tardi, e alle elezioni il centrodestra potrebbe arrivare così: con una minestra riscaldata. Sempre meglio del Pd, che arranca su refrain (la sanità pubblica, le inchieste) già bocciati per decenni. Per entrambi gli schieramenti il problema della Lombardia è endemico, e non risolvibile senza qualche idea forte.