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La Lega inizia a zoppicare anche in Lombardia

Fabio Massa

Nel 2023 si voterà in regione e il Carroccio inizia a perdere la fiducia degli elettori, anche se Salvini non è stato ancora messo in discussione da nessuno

La situazione della Lega, dopo gli schiaffoni quirinalizi a Matteo Salvini, e per il centrodestra nazionale e lombardo in particolare, è seria e pure grave, in barba ad Arbasino. Il Consiglio federale di via Bellerio di martedì ha comunque ufficializzato la linea della Lega, salviniana: palla lunga con la proposta di un “partito repubblicano” e nuovi mirabolanti progetti in chiave regionale per far dimenticare rapidamente la partita del Quirinale. (E per cercare di mettere qualche toppa a una situazione in subbuglio, ad esempio in Veneto). La verità è però che tra i consiglieri del Pirellone e sui territori serpeggia la paura, che monta con il triste rosario del crollo nei sondaggi. Perché il tempo passa e non si prendono decisioni sulla partita che è assai delicata, per Salvini. Ovvero quella delle regionali lombarde 2023. Un passaggio stretto, rischioso e per nulla scontato. Salvini pensa di avere ancora una maggioranza netta nella Lombardia profonda, ma ci sono scricchiolii a Varese, a Como, nella Bergamasca colpita dal Covid. E’ pur vero che il centrosinistra (ancora) non riesce a produrre un nome e un sistema di valori e progettuale condiviso da proporre all’elettorato, ma il centrodestra – questa è la tesi dei colonnelli leghisti ma anche dei fratelli/rivali meloniani in Lombardia – non può pensare di vincere la partita senza giocare, come avvenuto da Formigoni in poi.

“Ci saranno conseguenze”, spiega al Foglio Marco Osnato. Osnato è uno dei nuovi leoni di FdI, a cui Giorgia Meloni guarda per una futura rimodulazione del partito. Prima o poi il tempo di La Russa e Santanché arriverà al termine, ci sarà un ricambio generazionale. “Io credo che una crisi così grande non potrà essere risolta lanciando il ‘partito repubblicano’, che peraltro è un’idea vecchia di sei mesi. E non si può neppure risolvere dicendo cambiamo due assessori o facciamo cadere un Comune. Non si può semplificare come fa il Federale della Lega. Dobbiamo ricominciare a parlare ai cittadini e non agli eletti”. La Regione, per adesso però, è fuori dalla contesa. “L’urgenza non è la Lombardia – spiega Osnato – Certo ci sono punti da chiarire, anche importanti. Per esempio l’applicazione della riforma sanitaria, la governance delle infrastrutture; c’è da discutere, e bene. Ma è una necessità precedente al Quirinale”.

 

Sul fronte Lega si predica tranquillità. La foto delle mascherine taroccate (l’originale ce l’ha sul suo cellulare Giulia Martinelli, e pare si trattasse davvero di filtro nitidezza) è del giorno prima del Federale. Salvini non è stato messo in discussione da nessuno, la fedeltà di partito nella Lega fu scalfita solo al tempo delle “ramazze” di Maroni per far fuori il Cerchio magico di Bossi. Come sempre le tensioni emergono, semmai, in Veneto. Ma è presto per rese dei conti territoriali. “Non abbiamo parlato in nessun modo delle prossime regionali”, racconta al Foglio chi c’era. Insomma, neppure un accenno. Anche perché tra Fdi e Lega è più facile scatenare tensioni sulle prossime amministrative che su un programma condiviso per quattro anni.

E infatti sui Comuni al voto (di fatto tre: Como, Monza e Sesto San Giovanni) i meloniani di Lombardia hanno messo gli occhi. L’epicentro sarà Como, dove Mario Landriscina, vicino alla Lega ma civico, non piace al Carroccio ma è pure detestato da Fratelli d’Italia. A Monza invece si predica calma. Spiega al Foglio il sindaco uscente Dario Allevi: “Non ho avuto mezzo problema in questi cinque anni. Sono partito con una squadra, sono arrivato senza fare rimpasti e riconfermerò la stessa squadra. Continua questo idillio monzese perché dalle nostre parti il lavoro politico ha portato a un legame umano. Siamo persone che abbiamo fatto un lungo percorso insieme, ci conosciamo, siamo amici. Paura di tensioni tra alleati? No, nessuna”. Il sindaco di Sesto San Giovanni, ex Stalingrado d’Italia, Roberto Di Stefano, è invece più possibilista: “Se ci fossero, sarebbero scaramucce da campagna elettorale. Poca cosa. Io ho sempre dato voce a Fratelli d’Italia in giunta, e poi da noi la componente civica è fortissima. Se ci saranno problemi, saranno sicuramente contenuti”. Intanto il centrosinistra ci mette del suo, con una guerra interna che sta tenendo ai margini l’alleanza con le forze di Azione e Italia Viva. Di fatto, tutto il contrario di quanto successo a Milano. Il risultato sarà, di questo passo, la sconfitta a Sesto per la seconda volta di fila, in barba a tutti gli scivoloni di Matteo Salvini.

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