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Gran Milano - Qui una volta era tutta periferia

Non solo degrado. Carlos aka Tresh ha preso i colori e si è ripreso una vita 

Cristina Giudici

Il writer di origini argentine cresciuto a pane e spray sin da quando frequentava la prima media, ora ha fondato una una fanzina di 80 pagine per raccontare la cultura hip-hop: Metallo&Cemento

Sono solo un pazzo che quando si sente incazzato di brutto va a fare un pezzo”, ironizza Carlos aka Tresh, un writer di origini argentine cresciuto a pane e spray sin da quando frequentava la prima media. Domenica sera, dopo aver visto le notizie sugli ucraini tornati nel loro paese per difendere la loro patria, è uscito con le sue bombolette per andare a dipingere un “pezzo” contro la guerra su uno dei cento muri legali messi a disposizione dal Comune. Ora che è diventato adulto, 35 anni a marzo, ha fondato una fanzina di 80 pagine per raccontare la cultura hip-hop. Nelle periferie non ci sono solo degrado e illegalità. Si trovano anche storie di riscatto e di passione artistica che non passano per forza dalla cultura predatoria dei rapper gangsta. Nel quartiere Mac Mahon, fra il mitologico Ponte della Ghisolfa e le case popolari di via Ardissone c’è un parchetto anonimo che Pierfrancesco Maran (quando era assessore all’Urbanistica) ha definito “bruttino” dopo un atto di vandalismo nella zona del parco giochi. Ed è proprio lì che Carlos aka Tresh il 30 gennaio scorso ha riunito 130 writer per una jam speciale in omaggio al suo amico Leos, Leone Antoniazzi, che se ne è andato per un malore nel novembre scorso. 

 

Adesso quel parco bruttino è diventato una macchia multicolore che rende la zona meno anonima. Carlos aka Tresh è cresciuto nelle case popolari di via Ardissone e ha sempre avuto in testa questa idea di voler “spaccare” in qualche modo. Fra un’adolescenza travagliata e il ritorno non tanto felice nella terra dei genitori; un diploma finito pochi anni fa in una scuola serale grazie a una borsa di studio e l’iscrizione all’Università a Bergamo interrotta per la pandemia, ha ideato e poi fondato un magazine sulla cultura hip-hop che si chiama Metallo&Cemento. Un progetto che per lui è stato come accendere un fuoco sotto la pioggia e gli è servito per richiamare tutti i nomi noti e meno noti della cultura hip-hop. Carlos aka Tresh ci racconta del suo passato, di quando era un ragazzino e prima di andare a scuola, all’alba, andava a dipingere i tram perché voleva che tutti vedessero il suo nome nel centro della città.  “Volevo far conoscere il mio nome ed essere meno invisibile”, dice. E ora che vuole aggiustare i danni del suo passato, del bullismo, di tante cose interrotte, se incontra un ragazzino che vuole “farsi” un treno, cerca di fermarlo. “Gli spiego che si può spezzare una gamba, finire in carcere, prendere gli schiaffi dagli sbirri”, racconta. “Non voglio che gli succeda quello che è accaduto a me quando a 18 anni sono finito in carcere” Ed è anche per questo, per la voglia di aggiustare le cose, che ha fondato la sua “fanza”. Diventando un piccolo imprenditore che gira con la sua telecamera per riprendere i treni, intervistare i writer, contattare gli sponsor. E ogni volta che può aggrega i suoi amici per una jam. “All’inizio eravamo in dieci, poi venti e alla fine ci siamo ritrovati in 130 per Leos a fare una murata legale con i colori che usava lui”, dice con una commozione appena trattenuta. Carlos aka Tresh è il risultato di una periferia che non si rassegna a restare ai margini della città e dovrebbe essere valorizzata invece che ignorata o corteggiata dalla retorica della riqualificazione urbana. Ora che è uscito il secondo volume di Metallo&Cemento, parla del suo progetto editoriale come una vittoria dopo una corsa agli ostacoli. Un bel traguardo per lui che si esprime timidamente ma non si è fatto fermare da uno svantaggio sociale ai blocchi di partenza. Nel  secondo numero della fanzina ha messo in copertina e intervistato Cope2, uno dei pionieri della graffiti art di New York e ha intervistato una giovane writer esordiente di Quarto Oggiaro di 23 anni per raccontare il mondo dei writer che per adrenalina e ribellione dipingono i treni ma fanno anche le “murate legali”.  Nel suo editoriale ha scritto che Metallo&Cemento è il primo piano di una realtà “che può esser definita underground, periferica oppure di secondo piano. Una realtà sgradevole agli occhi dei perbenisti ma per altri come me unica opzione di vita”. E oggi si chiede se quel parchetto che ha reso più bella o quantomeno colorata un pezzo di Milano abbandonata possa essere dedicato al suo amico Leos. 

 

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