Gran Milano
Ci si prepara all'economia di guerra: niente lagne, ma aiutateci
I pagamenti in rubli non fanno troppa paura, il blocco dell’export è sopportabile. Il problema sono gas e materie prime
Di certo la blacklist dei paesi ostili, voluta da Vladimir Putin (che comprende ovviamente anche l’Italia) non sortirà gli stessi effetti della Grande purga voluta da Stalin nel secolo scorso. Quelli erano “nemici del popolo”, ora si tratta, per lo più, di paesi e imprese che hanno e hanno avuto scambi economici con la Russia, e presto (o tardi) torneranno, se non ad essere amici, a dialogare per i reciproci interessi. Del resto la dialettica amico-nemico è in questo momento l’argomento sul tavolo, ed è scabroso da manovrare. Il presidente di Confindustria (ed ex Assolombarda) Carlo Bonomi ieri in un’intervista a Repubblica lanciava l’allarme sulle sofferenze industriali ed energetiche, che il governo (e l’Europa) dovranno inevitabilmente lenire. Ma, alla domanda sulla “amicizia” delle imprese italiane, ha risposto: “La politica e la finanza hanno spinto con grandi agevolazioni le imprese a investire in Russia, Ma chi dà oggi tutela alle 477 imprese italiane che in Russia fatturano circa 7,4 miliardi di euro?”. Tradotto: “Se le imprese devono sopportare il peso delle sanzioni è bene che il nostro paese faccia i compiti a casa”.
Ma, oltre al blocco per sanzioni delle esportazioni vero il paese di Putin, la “contromossa” russa di pagare – se verranno pagati – i debiti commerciali in rubli, una valuta oggi senza più quasi valore – qualche danno lo farà, alle imprese, molte le lombarde, che avevano affari in corso con Mosca.
“Eravamo grandi esportatori verso la Russia, prima del 2014 – spiega ad esempio al Foglio Alfredo Mariotti, direttore generale di Ucimu (che accoglie le imprese del settore macchine utensili) – poi sono arrivate le sanzioni. Su 3 miliardi di export complessivo, in Russia ne vanno circa 300 milioni. Ma non si poteva fare diversamente, questo è chiaro. C’è qualche piccola azienda che copre il 30 per cento del proprio fatturato con la Russia e lì i problemi non mancano”. Più che altro, spiega Mariotti, “resta il problema dell’approvvigionamento di materie prime”, perché i costi alle stelle e la guerra in Ucraina hanno già costretto qualche azienda lombarda a rallentare la produzione. “Stavamo andando paradossalmente verso un anno da record: tutte le nostre imprese hanno molti ordini. Chi aveva abitualmente un portafoglio ordini di 5 mesi oggi ne ha 10, grazie alla ripresa post Covid. Resta l’incognita di ciò che succederà”.
Dunque sono i prezzi delle materie prime e dell’energia a preoccupare, più della blacklist. Tant’è che il ministro Roberto Cingolani ha spiegato: “Noi dalla Russia importiamo 29 miliardi di metri cubi di gas. Questi vanno sostituiti. Al momento abbiamo realizzato un’operazione anticipata e rapida e a primavera inoltrata 15 miliardi saranno rimpiazzati. Rimane la metà stiamo lavorando su rinforzo delle infrastrutture, rigassificatori e contratti di lungo termine. Ventiquattro, 30 mesi dovrebbero bastare per renderci indipendenti”.
Il presidente di Assolombarda Alessandro Spada spiega al Foglio: “Se guardiamo al nostro territorio, in termini di impatto diretto sul fatturato delle imprese lombarde, quello russo è un mercato che, nel 2021, si è attestato intorno ai 2 miliardi di euro: un terzo di quanto esportiamo verso la Russia è meccanica, un sesto moda, un settimo chimica. Oltre alle ripercussioni immediate sugli scambi e l’aumento vertiginoso di alcune materie prime, lo shock energetico rappresenta il principale fattore di vulnerabilità, soprattutto in un possibile scenario di contro-sanzioni da parte della Russia. Per rispondere ai bisogni concreti delle imprese in questo momento, abbiamo attivato sin da subito un desk dedicato al conflitto Russia-Ucraina sul nostro sito web. Nel quale le aziende trovano continui aggiornamenti, analisi economiche e un presidio sul tema delle normative nazionali e internazionali che hanno un impatto sul fare impresa. Abbiamo inoltre attivato un supporto sulle conseguenze delle sanzioni, dalla prevenzione e gestione di possibili attacchi cyber alle forniture di materie prime ed energia”. Il tutto in tempo reale.
Il Centro studi di Assolombarda – oltre alla task force sul conflitto – presenta un’analisi della situazione. Il conflitto impatta certamente sul quadro di recupero della Lombardia, ancora parziale nel 2021 (-2,9 per cento il Pil regionale a fine 2021 rispetto al 2019). Le previsioni formulate prima dell’invasione stimavano un tasso di crescita del Pil lombardo del +4 per cento nel 2022, performance che verosimilmente sarà rivista al ribasso, ma è difficile valutare in quale misura. Il principale canale di trasmissione è rappresentato dall’import energetico ma anche, seppur in minor misura, di altre materie prime: metalli non ferrosi, ferro e acciaio per dipendenza diretta a livello italiano e lombardo, cui si aggiungono specificità produttive provinciali come il legno soprattutto a Monza e Brianza o la chimica a Lodi. Dal lato esportazioni, non emerge un impatto considerevole diretto (i due mercati valgono meno del 2 per cento del totale lombardo, seppur con leggere differenze tra settori e territori) né indiretto (solo il 3,7 per cento del valore aggiunto italiano esportato è destinato alla Russia).
La Russia vale complessivamente l’1,6 per cento dell’export lombardo, in linea con l’1,5 di quello italiano. Tra i settori, a livello lombardo, meccanica, moda e chimica sono i più esposti, ma con incidenze inferiori al 3 per cento delle vendite estere settoriali. La Lombardia acquista dalla Russia l’1,2 per cento del proprio import, l’Italia il 3. E’ la siderurgia bresciana a patire di più in Lombardia, col fermo di alcune imprese: “La crisi ucraina si inserisce in un contesto già molto complesso per la siderurgia e metallurgia italiana – spiega Giovanni Marinoni Martin, presidente del settore Siderurgia, Metallurgia e Mineraria di Confindustria Brescia – La resilienza dimostrata nella pandemia delle nostre aziende ci ha permesso di sorpassare momenti difficili, ora però la sfida è ancora più dura: gli aumenti speculativi delle materie prime sperimentati nel 2021 rischiano di essere messi in ombra. Importanti segmenti dell’industria locale siano costretti a sospendere l’attività per eccesso di costi che vanno a erodere la marginalità, nonostante la forte domanda proveniente dalla clientela. In tale scenario, la guerra è un elemento di inedita incertezza”.