(foto LaPresse)

GranMilano

Là dove c'era l'Alfa Romeo ora c'è un vincolo della Soprintendenza

Daniele Bonecchi

Storia del “Centro Tecnico” della ex grande fabbrica di Arese, architettura di pregio oggi abbandonata

L’automobilista che si trovasse a percorrere i viali desolati che costeggiano le aree che un tempo furono la “grande fabbrica” dell’Alfa Romeo di Arese, nobiltà dell’automobile italiana  (“Quando vedo passare un’Alfa mi tolgo il cappello”, diceva Henry Ford), alla ricerca dell’ingresso del “Centro”, l’hub commerciale più grande d’Italia, potrebbe casualmente transitare a lato di una enorme costruzione in cemento e vetri, in stato di tragico abbandono ma di cui difficilmente potrebbe sfuggire l’antica qualità architettonica. Si tratta del Centro tecnico Alfa Romeo, realizzato tra il 1970 e il 1974 per essere la “porta” del grande impianto industriale, opera degli architetti Ignazio Gardella, Anna Castelli Ferrieri e Jacopo Gardella. Un edificio di grande pregio, ma parte di un mondo che non c’è più. Tanto che nel 2020 una nuova società aveva acquistato l’ultimo baluardo della vecchia Alfa Romeo (a parte il museo storico) con l’intenzione magari di abbatterlo per ricostruire. Tanto (non) tuonò, che comunque piovve: un anno fa un folto gruppo di architetti e intellettuali aveva scritto alla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio e al ministero della Cultura per denunciare il rischio che con la “dismissione, da parte del Gruppo Fiat Chrysler Automobiles, delle ultime attività presenti all’interno dell’ex Centro tecnico Alfa Romeo” l’edificio “simbolo dell’eccellenza dell’industria italiana, unica parte superstite del grande stabilimento inaugurato nel 1962”, potesse essere abbattuto. Chiedevano “di avviare al più presto un procedimento di dichiarazione dell’interesse culturale” del manufatto.

Cosa è accaduto, da allora? E che cosa dovrebbe accadere, visto che nel frattempo il “palazzo Gardella” langue in condizioni catastrofiche? Prima, vale la pena ripercorrerne un po’ la storia. C’era una volta l’Alfa Romeo. La sua storia coincide, in larga misura, con lo sviluppo e il poi il declino della grande industria nel milanese, dal dopoguerra a tutti gli anni ’70. L’Alfa – di proprietà dell’Iri (partecipazioni statali) – era diventata il simbolo dell’Italian Style. Nel 1962, in pieno boom, quando al Portello (dove ora c’è un altro grande centro commerciale) non ce la facevano più a reggere la produzione di Giulia e Giulietta, l’Iri aveva deciso di aprire ad Arese il più grande stabilimento della casa milanese, in una zona strategica: alle porte di Milano ma proprio accanto all’autostrada dei Laghi e a un passo dall’aeroporto di Malpensa. La realizzazione dello stabilimento di Arese diventa un’occasione importante anche per il mondo dell’architettura italiana. Il grande stabilimento inaugurato nel 1962 comprende fabbricati di eccezionale qualità, tra cui quelli progettati da Giulio Minoletti e Giuseppe Chiodi, e poi il fabbricato per gli Uffici tecnici: la grande “porta d’ingresso” alla città-fabbrica. L’Alfa Romeo, dopo la cessione al gruppo Fiat (contrastata dal Pci del nord, che si fidava poco della Fiat e avrebbe preferito la vendita alla Ford) gradualmente, viene ridimensionata. E a farne le spese è Arese che tra il 1990 e il 2000 vede smantellare il grosso delle linee di assemblaggio. Il resto è storia recente, con la vendita delle aree e la costruzione del grande hub commerciale Il Centro.

Un anno fa l’appello degli intellettuali, e sei mesi fa si è riunita in Regione la segreteria tecnica dell’“Atto integrativo dell’Accordo di programma dell’area ex Alfa Romeo di Arese”, che, in una nota, ha spiegato la situazione: “La proprietà dell’area ha comunicato la propria volontà a non proseguire con il progetto dello SkiDome” – cioè di una grande pista da sci indoor che avrebbe dovuto sorgere, assieme a un negozio Ikea, a fianco del centro commerciale realizzato dall’architetto Michele De Lucchi nel sito della ex fabbrica. I nuovi proprietari si sono sfilati. L’ipotesi, da parte pubblica, rimane comunque quella di realizzare infrastrutture dedicate allo sport, “mantenendo il legame con gli sport di montagna”. Gli enti pubblici coinvolti sono la Regione, la Città Metropolitana e i comuni di Arese, Garbagnate Milanese e Lainate.  Che hanno convenuto anche sulla “conservazione e valorizzazione dell’edificio Gardella, che potrà e dovrà rimanere l’emblema di un’idea di futuro che parte della valorizzazione della creatività e innovazione che hanno reso competitiva Milano e la Lombardia  ed hanno contribuito alla crescita della Grande Milano”.

La conferma che la palazzina non verrà smantellata viene da Michela Palestra, sindaco di Arese (nonché vicesindaco della città metropolitana su nomina di Beppe Sala). “La palazzina – spiega Palestra al Foglio – come gran parte dell’area ex Alfa  è di proprietà del gruppo Finiper. La Sovrintendenza ha avviato la procedura per il vincolo ed è in corso la sua definizione. Dunque il bene è tutelato. Bisognerà vedere, una volta ultimata la procedura della Sovrintendenza quale destino verrà deciso per la struttura”. 

Perché, come sempre in questi casi, il problema della conservazione è il suo futuro. Soprattutto se poi si pone il problema di come finanziare i possibili interventi su una proprietà che, pur vincolata, resta privata. “Quell’edificio è all’interno di un atto integrativo promosso anche da Regione Lombardia – spiega Palestra – Il privato avanzerà la sua proposta che andrà inserita in modo coerente col vincolo posto dalla Sovrintendenza. La nostra idea è che va rivista la funzione, anche perché è la porta di accesso dell’area e dunque deve fare parte in modo funzionale del progetto”. Il che vuol dire tutto e niente. C’è da dire che nell’intento dei progettisti il centro tecnico era una struttura moderna con grandi open space che, a seconda delle funzioni, possono essere rimodulati. Per il momento, l’edificio Gardella guarda abbandonato e malinconico gli automobilisti che passano in cerca di centro commerciale.

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