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GranMilano

Ecco il Patto per il lavoro voluto dal comune, ma non tutto brilla

Daniele Bonecchi

Oltre 400 mila giovani “inattivi”, e non è sempre colpa loro (caro chef Borghese). Formazione, salari, imprese: l'amministrazione Sala ora ci prova sul serio

Ci risiamo coi “bamboccioni”. Ma questa volta non è l’aria di casa (pasto caldo e camicie stirate) a tenere lontani i giovani dal lavoro: sono il post Covid e i salari bassi. Secondo il Corriere (dati Istat) si tratta di “un esercito di oltre 404 mila inattivi: quasi un giovane lombardo su cinque non studia, non lavora, né è inserito in un percorso formativo”. Sul versante opposto occorre aggiungere la piaga del lavoro nero e degli stipendi troppo bassi. E’ così che si materializza – giusto per fare un esempio – la grande fuga dei frontalieri della Valtellina (circa 6.000) e dei comaschi – che preferiscono attraversare il confine svizzero per guadagnare il triplo rispetto al salario di casa nostra, a partire dal personale dei servizi sanitari. Perché la carenza cronica di mano d’opera nei settori del commercio, dell’artigianato e dei servizi, anche nel post pandemia, basta e avanza per suonare l’allarme lavoro in una Lombardia che cerca affannosamente la ripresa.

A Milano il Comune, con la dinamica assessora al Lavoro e allo Sviluppo economico, Alessia Cappello, propone il Patto per il Lavoro, che sarà firmato domani in pompa magna, alla presenza del ministro Andrea Orlando – che nel frattempo ieri ha battibeccato con Carlo Bonomi di Confindustria proprio sul tema dei salari: l’idea di riservare “aiuti” alle sole imprese che aumentano le retribuzioni non piace agli industriali, tagliate il cuneo fiscale, rispondono – coi sindacati, la Camera di commercio, Confcommercio, Assolombarda, Afol e Città metropolitana. Qualche ulteriore malumore viene dal mondo delle piccole imprese  artigiane (quasi 30 mila), escluse dal percorso del Patto (ma poi recuperate all’ultimo) ma molto attive nel campo dei servizi. Il Patto ha l’ambizione di accompagnare la città nella fase del rilancio economico. Superata la  fase dello smart working (soluzione assai apprezzata soprattutto dai lavoratori con figli piccoli o altre incombenze – ma il ricorso a questa opzione è in netto regresso in città, confermano tutti gli indicatori), ora occorre migliorare l’offerta partendo dalla formazione ma resta aperto il tema dei salari. Il comune s’impegna a favorire servizi, asili nido, sportelli per conciliare domanda e offerta di lavoro, mantenendo un canale aperto col mondo dell’impresa e i sindacati. Non dovrebbe essere trascurata la sicurezza, che ha mietuto nel milanese troppe vittime, e probabilmente non basta la giaculatoria sul numero degli ispettori, serve di più: se di emergenza si tratta venga trattata come tale. E’ importante allargare il sistema delle relazioni sul lavoro: oltre a guardare a Parigi e Barcellona sarebbe opportuno allungare il confronto fino al Pirellone, che amministra le risorse per la formazione e per lo sviluppo delle aziende.   

 

“Contro il lavoro nero e per garantire la sicurezza servono controlli a tappeto, mentre per la formazione va difesa l’alternanza scuola lavoro (altro che le polemiche strumentali in cui cadono regolarmente anche i giornali, ndr). Con tutte le garanzie del caso, ma va portata avanti. Altrimenti la scuola resta lontana dal mondo del lavoro”, spiega Arianna Petra Fontana, presidente Apa Confartigianato Milano. “E’ chiaro che in Italia c’è un problema di salari che vanno aggiornati, altrimenti resta sempre la competizione col reddito di cittadinanza che è terrificante. C’è ancora chi pensa che sia più conveniente starsene a casa col sussidio. Occorre agire sui valori e sul modo di essere dei giovani. Le nostre aziende artigiane hanno molto da dire. Bisogna accendere il desiderio nei ragazzi, perché quelli che non studiano, non lavorano, non fanno niente, non me la sento di accusarli indistintamente. Nel mio lavoro ne vedo tanti e molti sono stradisponibili. I ragazzi che scelgono di starsene a casa certamente non sono contenti della loro condizione, sta a noi fare la prima mossa. Nelle piccole aziende artigiane è possibile coinvolgere direttamente i ragazzi perché il lavoro acquista uno dei suoi valori fondamentali: dare dignità alla persona. Anche perché nelle aziende artigiane – diversamente dalle grandi imprese – il giovane ha la possibilità di seguire tutto il processo produttivo”. Non è un caso che Confartigianato abbia stretto accordi con l’istituto Caterina da Siena (aprendo uno sportello in classe), col Napa per formare nuovi chef e con la scuola di formazione Galdus

“C’è un problema, in questo paese e in una città come Milano: i livelli salariali sono il tema all’ordine del giorno perché si è poveri pur lavorando”, spiega Marco Beretta, segretario Filcams Cgil. “L’inflazione è alta, pandemia e guerra stanno incidendo pesantemente sul potere d’acquisto delle famiglie. Una prima risposta è il rinnovo dei contratti nazionali, basta pensare che nel commercio il contratto è scaduto da due anni. Addirittura quello della vigilanza (i vigilantes che oggi vanno per la maggiore, ndr) è scaduto da quasi otto anni, quello del turismo idem. Siamo in una situazione in cui le controparti prendono tempo per risparmiare danaro sulle spalle dei lavoratori”, insiste il sindacalista.

“In alcuni settori, come quello della ristorazione, il lavoro nero è diffuso. E andrebbe contrastato anche se si fa fatica a farlo emergere. Sullo sfondo c’è il grande problema della precarietà che a Milano è all’ordine del giorno. A Milano con uno stipendio a termine di 1.200 euro si fa molta fatica a vivere. Poi nel commercio ci sono una marea di contratti part time involontari, contratti a chiamata, una flessibilità che spesso diventa precarietà”, conclude Beretta.

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