Gran Milano
Dalla Napalm Girl alla rinascita, Nick Út in mostra a Milano
61 fotografie per celebrare l'incredibile lavoro del reporter americano, i cui lavori sulla tragedia del Vietnam e sulla modernità americana invitano a riflettere su un passato da cui ancora non si ha imparato abbastanza
Ora lui ha 71 anni e lei 59. Le loro vite sono legate indissolubilmente da quella mattina dell’8 giugno 1972, quando gli aerei del Vietnam del Sud sganciarono bombe al Napalm sul villaggio di Trang Bang. Lei è la bambina che corre nuda sulla strada, insieme ad altri bambini mentre i soldati camminano sullo sfondo sgranato. Sta gridando per il dolore delle bruciature. Lui è il giovane fotoreporter dell’Associated Press, aveva 21 anni, che col talento del cacciatore di immagini era al posto giusto, quel mattino, su quella strada. E ha scattato le fotografie. “Quella” fotografia, soprattutto. Quella del Pulitzer. Lui è Nick Út, il suo nome vietnamita era un altro ma alla AP preferivano i nickname veloci. E quella bambina non soltanto la fotografò, trasformandola nella “Napalm Girl” divenuta simbolo di tutto il dolore di tutte le guerre, ma la portò in ospedale, e poi provvide alle cure, e non la perse di vista anche quando riuscì a farla andare in America. Così quella bambina che si Kim Phuc divenne cittadina canadese, ha avuto due figli ed è diventata ambasciatrice dell’Unesco.
La Kim Foundation International da lei promossa si occupa di bambini vittime della guerra. Nick Út e Kim Phuc sono legati da un filo di vita che ha dell’incredibile. Da quella foto sono passati 40 anni e qualche giorno fa erano insieme a Milano, per l’inaugurazione di una lodevole mostra, Nick Út, From Hell to Hollywood ( dal 7 al 31 maggio allo spazio IsolaSET di Palazzo Lombardia) curata da Ly thi Thanh Thao e Sergio Mandelli, promossa dalla Regione Lombardia e voluta dall’assessore alla Cultura Stefano Bruno Galli. In 61 fotografie (e un video didascalico che ne racconta la storia) si ripercorre l’avventura umana e giornalistica di Nick Út.
Ora che la guerra è tornata a bussare col suo carico di dolore ingiusto alle nostre porte, la celebre fotografia di Nick Út sembra scandire l’ennesimo “mai più” non rispettato. La mostra è stata programmata prima dell’invasione dell’Ucraina, niente coloriture politiche. Quarant’anni dopo il Vietnam, i mezzi di informazione e i social hanno una capacità di trasmettere l’orrore in tempo reale infinitamente superiore. Viene quasi da dire che non servirebbe, proprio oggi, un “ripasso storico” a ribadire il senso di ciò che vediamo. Poi però c’è la qualità delle immagini, quelle che fanno di Út un grande fotoreporter. E del resto, fa parte dello statuto stesso della fotografia di guerra un dovere di testimonianza, di denuncia, che va oltre la pura informazione e documentazione.
Prima e dopo Nick Út moltissimi fotoreporter hanno fatto del proprio lavoro un atto di fede, di denuncia, e di pietà umana di fronte alla guerra. Nick Út non si è mai sottratto, col suo lavoro, a questo dovere morale. Poi però c’è il resto della vita, e del lavoro. Nel 1975 fuggì negli Stati Uniti, continuò a lavorare per AP, ormai era un Pulitzer. Ha ritratto il mondo del cinema (da qui il titolo della mostra), ma ha saputo anche guardare oltre i divi: la Hollywood degli homeless, ad esempio. Ed è tornato, anni dopo, a vedere che cosa è diventato il suo Vietnam. Ne ha tratto immagini profonde, sospese tra passato e presente (quella che abbiamo scelto), con un gusto estetico e morale che non può non far pensare al grande Sebastião Salgado.