Gran Milano
La guerra del Covid nel libro di Gallera, un j'accuse contro Roma
Il “diario” dell’ex assessore al Welfare durante la pandemia. Sassolini nelle scarpe per tutti, compreso Salvini
"Questa non è una autocelebrazione”. Giulio Gallera lo annuncia subito, nel suo diario di un anno vissuto pericolosamente, e non solo per lui: “Diario di una guerra non convenzionale”, il libro che pubblica in questi giorni con Guerini e Associati (160 pp., 18 euro). E in effetti non lo è, non è un diario banalmente autocelebrativo. Ma di sicuro è una difesa, un tornare sulle ferite ancora aperte (come la disastrosa spiegazione dell’Rt, per la quale chiede scusa) e cercare di spiegare un po’ di cose. E l’occasione di mettere i puntini sulle “i” anche agli errori fatti da altri – quasi sempre gli accusatori. La sintesi è che il “Diario” è un j’accuse durissimo, oltre che un resoconto – sicuramente di parte – scritto dall’ex assessore al Welfare della Lombardia, in prima linea durante la prima e la seconda ondata Covid.
Il j’accuse ha un indirizzo: il governo Conte. “A differenza del governo nazionale, che in più occasioni ha funzionato da freno anche nell’attuazione delle nostre decisioni (il caso della zona rossa ad Alzano e Nembro ne è la dimostrazione plastica), non abbiamo mai avuto indugi o tentennamenti”, scrive Gallera. Tentennamenti invece che ebbe la struttura commissariale: “La struttura commissariale sembrava rimasta inerte. Aveva i poteri di raccogliere le scorte di dispositivi, ma aveva fatto qualcosa? E il ministero della Salute aveva forse chiesto di aumentare le terapie intensive per i pazienti Covid, o i posti nei reparti di malattie infettive? Il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie era forse allarmato? Anzi, a metà gennaio, come riportato nella circolare del ministero della Salute del 22 gennaio, dichiarava che il rischio ‘di introduzione dell’infezione in Europa, attraverso casi importati, è moderato’. Tradotto, non ci si deve preoccupare troppo. E non ci si preoccupava”. La narrazione è a tratti surreale: “Il 19 febbraio avevo incontrato il ministro Speranza insieme a tutti gli altri assessori alla Sanità delle Regioni italiane per discutere del rinnovo del ‘Patto per la salute’. Neanche in quell’occasione il ministro aveva fornito indicazioni particolari sul tema Covid, né aveva trasmesso preoccupazione. Si era limitato ad accennare, di passaggio, alla stanchezza per le tante riunioni cui doveva partecipare a causa del pericolo coronavirus”. Speranza era stanco. Due settimane dopo è pure confuso: “Alle 15 (del 4 marzo 2020, ndr) arriva a Palazzo Lombardia il ministro Speranza. Lo accogliamo io e il presidente Fontana all’uscita degli ascensori al sesto piano, dove si trova la sala operativa. Insieme a lui c’è Andrea Urbani, il suo direttore generale. Un particolare mi stupisce: non indossa la mascherina. Gliene consegniamo subito una. ‘Ma se ce l’avete tutti, allora non la metto io’, dice il ministro mentre si siede. In quel momento ho la sensazione chiarissima che Roma è distante anni luce. Che, nonostante la buona volontà, non hanno ancora capito come stiamo vivendo noi. Qui, per capirsi, oltre ad avere fatto già due tamponi, siamo mascherati da 10 giorni. Eppure per il ministro è ancora un gesto insolito e, tutto sommato, non necessario”.
Gallera punta il dito anche sulle circolari: “Anche quel giorno intercorrono diverse telefonate tra me e Roberto Speranza; o mi chiama lui per avere aggiornamenti oppure lo chiamo io per esternargli le nostre difficoltà. Più volte mi invita a ridurre il numero dei tamponi. Secondo i suoi esperti devono essere fatti solo a chi presenta sintomi e rientra nelle casistiche di ‘caso sospetto’ previste nelle circolari ministeriali. Mi viene in mente che anche in conferenza stampa una giornalista mi aveva detto la stessa cosa, ricordando che ‘Walter Ricciardi [il consulente del ministro della Sanità] sostiene che ne fate troppi’. Presto, continua Speranza, sarebbe arrivata una circolare ministeriale che avrebbe dato indicazioni specifiche su questo punto”. Insomma: nella primissima fase il governo diceva alla Lombardia di non fare i tamponi. Poi Gallera racconta la sua versione della mancata zona rossa di Alzano e Nembro: “Salutiamo e ringraziamo il ministro, che riprende il volo verso le 17. Il bilancio è positivo: Brusaferro è d’accordo con noi, il ministro Speranza ci ha rassicurato. Tutto fa pensare che la zona rossa si farà nel giro di poco. Invece no. Il giorno dopo, cioè giovedì 5, arrivano i militari e le forze dell’ordine, circa 300 unità, ad Alzano Lombardo, ma non la comunicazione ufficiale della sua istituzione da parte della presidenza del Consiglio, che pure a quel punto sembrava una formalità. Solo sabato 7 arriva da Roma la decisione di realizzare un’unica grande zona rossa in tutta la Regione. Mesi dopo avremmo scoperto che il 5 il ministro Speranza aveva predisposto una bozza di Dpcm che prevedeva l’istituzione delle zona rossa ad Alzano e Nembro, ma questo documento non fu mai controfirmato da Conte. Come mai? I motivi sono tuttora ignoti”. Sulla vicenda, com’è noto, si è mossa, pur con qualche contraddizione nell’impostazione, anche la magistratura. Gallera la vede così: “Francamente non so dire se istituire la zona rossa già il 3 sarebbe stato risolutivo per ridurre la diffusione del virus, che nella bergamasca ha colpito in modo profondo, esteso e cruento – le immagini dei camion dell’esercito con le bare è un’altra di quelle cicatrici indelebili rimaste dentro di me e di molte altre persone”.
Infine Gallera ne ha pure per Matteo Salvini, che decise per la sua sostituzione dopo la pubblicazione dei dati sulle vaccinazioni in Lombardia, agli ultimi posti perché Gallera aveva deciso di iniziare due giorni dopo: “Dopo l’epifania il presidente Fontana decide di compiere alcuni cambi e io, dopo l’avvio concreto della campagna vaccinale, ritengo concluso il mio turno di guardia. Una nuova fase era cominciata ed ero tranquillo: avevo fatto il mio dovere. Mentre svuoto l’ufficio, noto che sia i primi che gli ultimi giorni della mia gestione della pandemia sono stati curiosamente caratterizzati da forti polemiche. Il 26 febbraio il presidente Conte aveva criticato l’operato, la professionalità e la competenza del personale dell’Ospedale di Codogno, oggi ci sono politici, compreso ahimè il leader del partito di maggioranza in Regione Matteo Salvini, giornalisti e opinionisti che denunciano il fatto che io non abbia richiamato subito al lavoro persone che, dopo un anno inimmaginabile, si stavano godendo qualche giorno di meritato riposo, soltanto per fare una vaccinazione già prenotata e calendarizzata”.