GRAN MILANO
Pierfrancesco Maran, parole e idee per una sinistra riformista
In arrivo “Le città visibili”, il libro dell’assessore ed esponente più votato del Pd. Milano, la regione, amici e garantismo
Einaudi diceva di leggere contemporaneamente due o tre libri, facendo “zapping”. Per i cultori delle cose lombarde e milanesi ce ne sono giusto due o tre tra cui “saltare”. Il primo uscito è un romanzo di Pierfrancesco Majorino, europarlamentare Pd. L’altro è quello di Giulio Gallera, di cui parliamo qui, poi, il primo giugno, sarà la volta di Pierfrancesco Maran, assessore e recordman di preferenze per il Partito democratico milanese. Uno che generalmente parla poco, Maran, e sempre dopo aver riflettuto. Per questo il suo libro è atteso – a livello politico e non solo. Si intitola “Le città visibili”, per i tipi di Solferino. Dodici capitoli di riflessioni, di cui due davvero imperdibili. Il primo, dove si ripercorre come una cavalcata di vent’anni di politica. Ci sono aneddoti gustosi, come quando nel 2006 il partito non voleva candidare il giovanissimo Maran: “Fu addirittura cambiata la serratura della nostra sezione affinché non potessimo usarla come sede delle riunioni”, e Lia Quartapelle, parlamentare, “per protesta si scagliò fisicamente contro il tavolo della presidenza”.
L’amicizia con Pietro Bussolati, le serate di divertimento (le uniche senza politica) “al Killer Plastic, lo storico locale di viale Umbria fondato da Lucio Nisi e che ospita figure mitiche come la Stryxia”. L’ingresso in Giunta dopo la vittoria di Giuliano Pisapia, l’appoggio di Filippo Penati, e la sua vicenda giudiziaria: “Viene inquisito Filippo Penati, che era il dirigente locale del Pd a cui mi sentivo più vicino. Questa vicinanza, a settembre, si trasforma in un’insidiosa campagna mediatica di insinuazioni. Sono giorni difficilissimi. La vicenda Penati mi ha segnato e da allora sono profondamente garantista, conosco la sofferenza delle insinuazioni, che possono essere più violente e definitive di una con- danna penale”. Con Penati le cose si aggiusteranno solo molti anni dopo: “Quella vicenda creò reciproche incomprensioni tra di noi e segnò la sua vita, finita prematuramente nell’enorme fatica di difendersi da inchieste che non lo hanno mai condannato. Per me tornare a parlarsi e chiarirsi un anno prima della sua scomparsa fu un sollievo”.
Se c’è tanto della storia di Maran all’inizio del libro, c’è tanto delle idee di Maran nei capitoli centrali. Fino al penultimo, dedicato alla Regione. Una sorta di piccolo manifesto in tre punti per un centrosinistra che cerca un candidato ma che non capisce che dovrebbe mettere nel frullatore anche qualche idea, oltre ai nomi e a qualche slogan. Le tre idee di Maran sono precedute da una autocritica: “Forse con un po’ di supponenza, anzi, è stato più semplice per la grande città creare reti forti con le altre metropoli e con i loro sistemi finanziari, anziché aprire le porte alla macroregione del Nord”. Maran dice che il declino della Regione arriva dopo Formigoni: “La lunga stagione di Roberto Formigoni, al di là di ogni giudizio politico ed etico, per il primo decennio ha rappresentato una delle esperienze più innovative viste in Italia, ed è bene che a riconoscerlo sia un suo fiero avversario politico”. Poi, con il Covid, cambia tutto. Maran condanna la gestione della Regione tutta quanta, salva solo l’operato di Fiera: “Nei primi mesi non vi è stato un cambio di strategia per affrontare la pandemia, anche se tutta la Giunta regionale era impegnata a mostrarsi nelle popolarissime dirette del pomeriggio che aggiornavano sui numeri delle infezioni. L’unica eccezione all’inefficienza diffusa in Regione Lombardia è il sistema fieristico, cui peraltro hanno delegato la realizzazione dell’unico elemento che ha parzialmente retto l’urto, ossia l’ospedale temporaneo e poi centro vaccinale alla Fiera al Portello”.
La Regione, dunque: “Il primo punto di lavoro è quindi la sfida infrastrutturale, volta a creare una qualità della vita migliore a chi fa il pendolare, ma anche a generare opportunità che le distanze oggi fanno perdere. Da Mantova le connessioni quotidiane con Milano sono complicate. Palazzi (sindaco di Mantova, ndr) ironizza che, senza investimenti sulle infrastrutture, più che città a 15 minuti siamo ancora a quella a 120 (118 per essere precisi, secondo la tabella Trenitalia). Significa, ovviamente, che il pendolarismo è arduo in entrambe le direzioni, quindi anche per attrarre professionisti nelle imprese del territorio o turisti per le bellezze della città“.
La proposta di Maran? Insieme alla città a 15 minuti, una seconda tabella oraria a 60 minuti, come “tempo massimo per un pendolarismo dignitoso”, non eliminando ma riformando Trenord: “lo dico perché, nel 2011, in Atm vi erano problemi simili e in pochi anni sono stati superati”. Poi ovviamente c’è la Sanità: “E’ uno dei punti su cui la sinistra si è sempre incartata nelle campagne elettorali regionali, anche perché, oggettivamente, il centrodestra ha talmente esagerato nella contiguità economico-relazionale a centri sanitari privati che è difficile non dir nulla a riguardo. Ripensare la Sanità, anche nel rapporto con i privati, però non implica tornare a un sistema interamente pubblico, ma a uno che abbia ben chiari gli obiettivi pubblici”. E infine le tasse: “Il terzo punto è che la sinistra non deve più far paura sulle tasse. Non ce n’è bisogno, i lombardi ne pagano già più che a sufficienza. La sinistra deve presentarsi dicendo ‘opportunità’ e ‘lavoro’, non ‘tasse’”.