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Addio Lambrate Design District, Milano corre più veloce

Giovanni Seu

Il quartiere è stato il brand del Fuorisalone, ma è una storia finita. Niente paura, arriva l’hub della super logistica

C’è un assente illustre nel Fuorisalone che aprirà i battenti, dopo il downgrade da pandemia, il prossimo 6 giugno. Per la seconda volta dopo il forfait dell’anno scorso a Lambrate le saracinesche resteranno abbassate durante la settimana del design facendo mancare quel contributo di creatività, movimento e anche di eccessi che hanno caratterizzato per un decennio il protagonismo di un “rinato” quartiere ex industriale. Prima di stabilire se è il caso di suonare la campane a morto del Lambrate Design District è opportuno capire perché si è arrivati a questo esito che suscita, tra i design addict, un po’ tristezza.

 

Lambrate è stato l’esempio di una Milano capace di cambiare volto e business in fretta. Grazie a tanti spazi semivuoti e a basso costo, frutto della deindustrializzazione, già negli anni 90 Lambrate diventa appetibile per gli operatori del design che danno vita a uno sviluppo un po’ a spot ma interessante, tant’è che proprio qui decide di trasferire la sua sede Abitare, la celebre rivista di architettura. Ma è con l’arrivo degli olandesi guidati dalla vulcanica Margriet Vollenberg che arriva il salto di qualità: nel 2009 nasce Ventura Projet che diventa, assieme a Brera e Tortona, una dei tre assi portanti del Fuorisalone. Lambrate acquisisce un marchio che lo impone all’attenzione della città, l’ex quartiere popolare diventa cool facendo impennare i valori immobiliari e attirando nuovi servizi, coworking, terziario avanzato. Il design non è l’unico propellente di questo sviluppo, ma di sicuro il più trascinante offrendo per una settimana un clima frizzante con migliaia di visitatori che proseguivano le serate ben oltre la chiusura delle esposizioni.

 

A un certo punto il giocattolo si è rotto. Nel 2018 gli olandesi hanno preferito trasferirsi in Stazione Centrale e Città Studi, lasciando un vuoto che nel giro di due anni ha trascinato nel baratro l’intero district. Se lo scorso anno si poteva comprendere il default in quanto la Design Week è stata organizzata all’ultimo momento tra non poche polemiche e tante defezioni, quest’anno c’erano tutte le condizioni per un ritorno, come spiega al Foglio il cofondatore di Studiolabo e anima del Brera Design District, Christian Confalonieri: “Se consideriamo budget, eventi, installazioni, feste e organizzazione il Fuorisalone è tornato ai livelli del 2019, con la differenza che mancano russi e cinesi ma ci sono più americani e brasiliani. Lambrate ha rappresentato un pezzo importante del Fuorisalone, è stato fatto un lavoro di selezione rivolto in modo particolare ai giovani che hanno sempre risposto con entusiasmo: si è partiti da via Ventura per poi occupare le vie limitrofe, e dopo un po’ sono arrivati anche i grandi brand come Ikea”. Circa le cause della chiusura Confalonieri non crede troppo a chi la imputa alle speculazioni dei titolari delle location che, facendo lievitare i canoni, hanno fatto scappare gli olandesi e poi gli altri: “Alcuni proprietari non si sono limitati ad affittare gli spazi ma hanno voluto fare le scelte, decidere le strategie del design dimenticando che questo è un settore in cui non ci si può improvvisare: le imprese rischiano e vogliono lavorare con gente esperta”.

 

Un’altra lettura della debacle arriva da Emanuele Pezzotta, fondatore del “Fuorisalmone”, una delle esposizioni più originali di Lambrate negli anni Dieci: “Con Expo si è raggiunto l’apice  – spiega – poi è iniziato il declino, si avvertiva un cambio di vento e quando è scoppiato il Covid è arrivato il colpo di grazia. Non credo che a determinare questo risultato siano state le speculazioni, quelle ci sono dappertutto, il problema è che si è iniziato a discriminare, a rifiutare voci ritenute diverse, io stesso sono stato osteggiato. Inoltre quello che era nato come un distretto innovativo a un certo punto non è riuscito più rinnovarsi, è diventato ripetitivo”.

 

Più prudente il giudizio di Caterina Antola, presidente del Municipio 3: “Quella del design è una brutta perdita ma assicuro che Lambrate resta un quartiere vitale, interessante, con spazi per la creatività. Ricordo che esiste un’associazione come Made in Lambrate che promuove l’arte e la socialità tutto l’anno, solo nei prossimi giorni si svolgono iniziative come lo Yarn Bombing Festival Milano, la manifestazione interamente dedicata alle opere d’arte realizzate all’uncinetto, o L'Arena Milano Est dove si susseguono eventi di cinema, teatro e stand-up comedy”.

 

L’ottimismo di Antola è giustificato non solo dalla tradizionale capacità di Milano, e dei suoi quartieri, di cambiare pelle rapidamente, ma dalle innovazioni che stanno interessando Rubattino, la porzione sud di Lambrate. Hines, in partnership con Allianz Real Estate, punta sui capannoni dell’ex Innocenti – una delle grandi aree metropolitane ancora da trasformare – per realizzare un hub logistico per le consegne last-mile e predisposto all’utilizzo di mezzi elettrici. Non meno significativo è il progetto della “Magnifica Fabbrica” per la creazione dei nuovi laboratori e depositi del Teatro alla Scala nel Parco della Lambretta, appena assegnato a un gruppo italo-spagnolo composto da FRPO Rodriguez y Oriol e WALK Architecture&Landscape di Madrid e SD Partners di Milano. Un progetto di assoluta avanguardia che rilancia una zona sinora non proprio di primo piano, e che autorizza a sperare per Lambrate, orfana del design che difficilmente ritornerà in via Ventura e dintorni.

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