Gran Milano
Regionali lombarde, il centrodestra arranca. Ma a sinistra la ricerca del candidato è in alto mare
La frattura tra Lega e FdI non è affatto ricomposta, anzi pare più scomposta che mai per vicende che nulla hanno a che vedere con la Lombardia. Dall’altra parte, nel campo progressista, è stato fatto poco o nulla
A osservare un po’ da vicino la strategia del centrosinistra per le prossime elezioni regionali si rischia di rendere attuale una battuta di Ellekappa di vent’anni fa: “Per le prossime elezioni la sinistra gioca d’anticipo. Le sta perdendo ora”. E dire che per mesi e mesi tutti i leader, compresi i centristi, si erano affrettati a dire, con voce stentorea, che per la prima volta nella sua storia la Regione Lombardia sarebbe stata contendibile: la gestione non performante del Covid, recuperata in extremis, i processi (vedendo gli esiti: più che altro una campagna giudiziaria) contro Attilio Fontana, i troppi morti, gli scandali e i flop della “macchina”. Guardando indietro agli ultimi due anni, di tutto quel po’ po’ rimane assai poco: il governatore è stato prosciolto, il Covid è passato grazie ai vaccini (ben somministrati), e gli scandali sono pian piano tutti rientrati. Anche in procura a Milano l’aria che tira pare assai differente da quella di qualche tempo fa, e non è una cosa che può rendere sicura la sinistra di poter contare su una mano giudiziaria sotto elezioni. Certo, la frattura tra Lega e Fratelli d’Italia non è affatto ricomposta, anzi pare più scomposta che mai, per vicende lontane, sicule, che nulla hanno a che vedere con la Lombardia. Insomma, sul fronte centrodestra non tutto è tranquillo, ma ogni giorno che passa Attilio Fontana è più vicino a una ricandidatura. E dall’altra parte?
Il tempo è passato, ed Enrico Letta alla fine ha gettato la spugna (in avanti): si deciderà dopo l’estate. Che cosa si deciderà dopo l’estate? Praticamente tutto. Coalizione, metodo di selezione (primarie?), programma e candidato. Fino ad adesso che cosa è stato fatto? Poco, o nulla. E anche sui conti economici (leggasi: contributi del partito per le regionali) le voci che arrivano da Roma non sono incoraggianti. Soldini pochi e forse nulla, o giù di là. E costruire l’immagine di un candidato è anche un fato di comunicazione. Certo, le primarie sarebbero state un ottimo volano di auto finanziamento, ma non sono state indette e a settembre c’è già chi dice che sarà troppo tardi.
Situazione ideale per Emilio Del Bono, sindaco di Brescia, che aveva detto in tempi non sospetti che, se deciderà di mettersi a disposizione, sarà all’ultimo momento utile (come dire: senza lo slalom delle primarie). Su di lui si appuntano le speranze anche di Base Riformista, una delle “correnti” superstiti del Partito democratico, che fa riferimento a Lorenzo Guerini e che settimana scorsa ha radunato tutti i suoi esponenti alla Fondazione Stelline di Milano. Una prova di forza che ha visto più di metà del gruppo regionale partecipare. A partire da Fabio Pizzul, che però non ha nascosto la sua voglia di provare a competere se ci saranno primarie. Si vedrà. Tuttavia non è l’unico che, sottotraccia, s’è messo in movimento. Un altro si sta facendo notare perché gira, ufficialmente per la promozione del suo libro, ovvero Pierfrancesco Maran. Assessore alla Casa di Milano (a proposito: un competenza regionale, se ce ne è una), ex assessore all’Urbanistica, ex ex assessore all’Ambiente e Trasporti, ha due strade davanti a sé: provare la via di Roma oppure giocare una partita regionale. Entrambe sono dure e difficili, ma intanto Maran gira per promuovere il suo libro, attiva reti, raccoglie istanze, suggerimenti, spinte a giocarsela. Che sia lui il possibile outsider di centrosinistra? Di sicuro sarebbe un candidato presidente di peso, con un gruppo compatto di sostenitori, un robusto pacchetto di voti. Per lui, come per Carlo Cottarelli, rimarrebbe l’incognita Movimento cinque stelle: sia Maran che l’economista non sono mai stati teneri con i pentastellati. Resta da capire se davvero Buffagni, Violi & Co. vogliono giocarsi la partita. Le dichiarazioni vanno in questa direzione, con tanto di possibili corse solitarie, ma gli atti ufficiali sono equiparabili a quelli del Partito democratico: assenti. Troppo presto per esporsi, mormora qualcuno tra i dem. In attesa che Beppe Sala cambi idea (difficile al limite dell’impossibile, e come scrive il direttore Cerasa in prima pagina il progetto potrebbe essere un altro) l’unica strategia pare essere quella di temporeggiare. Una cosa che al centrosinistra, peraltro, viene benissimo.