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Non è tutto design quel che brilla. Le magagne del Salone 2022
I numeri della Design Week 2022: segnali di ripresa, ma siamo ancora lontani dai picchi del 2019. Tra le cause prezzi alle stelle degli alberghi e la scelta di tenerlo a giugno, quando il caldo è soffocante
Un evento che nell’èra (ancora) del Covid richiama 400 mila persone in pochi giorni, distribuisce fatturati, rilancia l’immagine internazionale di Milano può e deve essere considerato come un successo. E come tale è stato celebrato da amministratori, imprenditori e giornalisti. Sarebbe però sbagliato archiviare la Design Week del 2022 trascurando alcuni segnali meno trionfali. Intanto è bene evidenziare che non siamo tornati ai livelli dell’edizione 2019 che al Salone, in quanto tale, senza il Fuori, registrò quasi 390 mila presenze, circa 130 mila in più di quest’anno: una differenza che non è sufficiente spiegare solo con l’assenza dei buyer russi e cinesi che tre anni fa erano 42 mila.
Un altro dato importante ci dice che gli espositori sono passati da 2.418 a 2175. Una flessione, se vogliamo fisiologica, ma netta. E non è tutto, anche il Fuorisalone accusa una diminuzione di visitatori: sono stati 350 mila, nel 2019 solo a Brera arrivano a 250 mila e alla Statale, una delle location più gettonate, furono 200 mila. E’ vero che non basta una nuda analisi dei numeri per stabilire la riuscita della manifestazione, tanto più se il raffronto viene fatto con quella record del 2019, l’ultima della belle époque pre pandemia, ma resta evidente che quel bolide che correva all’impazzata dopo la pausa dovuta a due anni di Covid accusa qualche problema al motore.
Ma i problemi non sono solo figli del lockdown. Anche stavolta i prezzi sono saliti alle stelle, in particolare quelli degli alberghi, per non parlare dei soliti rialzi di chi possiede una location e ne vuole massimizzare il profitto. Si tratta di speculazioni che, con il contributo di altri fattori, hanno fatto morire il Lambrate Design District e che sembrano incontrastabili: “E’ difficile intervenire – ammette il cofondatore di Studiolabo Christian Confalonieri – in ballo ci sono troppi interessi, c’è chi si gioca in una settimana il fatturato di un anno intero. Il Comune, che pure è sempre presente e garantisce ottimi servizi come la pulizia delle strade, non ha gli strumenti per svolgere un ruolo di regolatore”.
La critica più velenosa, forse anche la più inaspettata, è arrivata dallo scrittore, ed ex direttore del Design Museum di Londra, Deyan Sudjic, che su Domus, rivista storica del design, si è chiesto se abbia ancora senso svolgere il Salone: secondo il critico britannico il dilagare della commercializzazione rende superfluo mettere su una fiera così imponente, basterebbero sedi più ridotte o, al limite, l’online. Tesi che non convince Gilda Bojardi: “E’ una provocazione – spiega al Foglio la fondatrice del Fuorisalone – il design ha dimostrato di essere impattante su tutti i settori dell’economia. E’ sbagliato, poi, pensare solo agli aspetti commerciali, nella settimana del mobile c’è stata una crescita culturale, una vera e propria riscoperta della città che è diventata un grande distretto espositivo”.
Per l’anno prossimo già da ora si impongono un paio di correzione. Gli operatori sono concordi nel ritenere che si debba tornare ad aprile, le temperature di giugno complicano il lavoro e le visite. Un altro punto su cui intervenire è la viabilità, come sottolinea Bojardi, che resta un nodo irrisolto con le auto in doppia e tripla fila che strozzano le vie delle esposizioni. Ci sarebbe anche un tema più ostico ormai non più rinviabile: il rapporto tra Salone e Fuorisalone, sinora eluso per lo snobismo che il primo dedicava al secondo. Per Confalonieri i tempi sono maturi per una collaborazione: “Il presidente del Salone Maria Porro è più vicina al nostro linguaggio, io credo che si possa lavorare assieme, ci sarebbe un reciproco vantaggio”. Più prudente Bojardi: “Si può fare ma ci deve essere rispetto e apprezzamento da entrambe le parti: Salone e Fuorisalone sono eventi complementari, si può sviluppare una collaborazione che già esiste per il bene comune”.
Da parte del Salone non si nascondono le difficoltà: “L’obiettivo del Salone e le regole del gioco – afferma il presidente Maria Porro – sono molto chiare così come il focus incentrato sul principio della qualità piuttosto che sulla quantità. La città ha approccio più intersettoriale; si moltiplicano gli eventi e forse in questo caso le regole del gioco sono un po’ meno chiare”. Per il prossimo anno qualche margine di collaborazione esiste: “Salone del Mobile e Fuorisalone, mantenendo distinti ruoli e scopi, possono e devono confrontarsi per garantire una settimana del design di qualità e concretezza”, spiega Porro. Più caldo il via libera da parte degli operatori che, in modo particolare tra i più giovani, vedono come antistorica la separazione tra le due fiere: “Si deve fare sistema – spiega la communication strategy Barbara Musso – e riuscire a coordinare i vari distretti: con un’unica fiera riusciremo a esprimere la magia di Milano”.