gran milano
Why Salvini is “too big to fail” in Padania (almeno per un anno)
La Lega ha preso una batosta in casa sua, ma è ancora lontanissima dall'abisso (di consensi) dell'era Bossi. Il leader del Carroccio resterà in sella, se non altro per mancanza di sfidanti
"Como sette per cento, Monza otto, Pavia quattro, Genova e Verona sei, Padova sette”. Il rosario triste, per il cronista di Repubblica, lo sgrana Roberto Castelli, “l’ingegnere” che fu ministro della Giustizia (l’unico negli ultimi decenni ad avere avuto il coraggio di sfidare la super casta di Csm e Anm) e che soprattutto è rimasto un vero leghista d’antan, uno interessato solo all’autonomia della sua Padania. E del resto solo lui, o qualcuno come lui della vecchia guardia passati (a volte sdegnosamente) alla riserva napoleonica, possono permettersi di dire le cose che anche tutti gli altri oggi nel partito guidato da Matteo Salvini – tranne forse il suo ristretto inner circle – vedono: la Lega ha preso una batosta in casa sua, e la batosta rischia di essere un segnale per il futuro.
Così non si troverà nessuno, vecchia guardia bossiana o nuova truppa salviniana, disposto a ripetere quello che Castelli dice: “Non credo che Salvini si farà da parte prima delle Politiche. Ma se continua così rischia di fare la fine di Renzi”. Il pericolo del crollo insomma c’è, ma non cambierà i giochi attuali, e soprattutto la direzione è ineluttabile: dentro un partito-monolite, dove la fedeltà alla causa, anche prima che al Capo, è un valore sacro e novecentesco, il Segretario non si discute. Fino alla fine.
C’è chi sussurra: be’ alla fine anche il Senatùr lo fecero fuori con le ramazze. Insinuazione che, da dentro, respingono al mittente: primo, Umberto Bossi e il suo Cerchio Magico erano inseguiti da brutti guai giudiziari, il fronte era rotto ma soprattutto il partito era al tre per cento. Morto. La situazione di oggi, in fondo, sta tutta qui. Nel 2022, nonostante le botte elettorali e quelle di immagine (la Russia) Matteo Salvini è come certe banche durante il Grande crollo: “Too big to fail”. Troppo grande per crollare da solo, o per essere fatto fuori da un’opposizione interna. La Lega, nonostante i rosari di Castelli, vale ancora un 15-20 per cento nazionale, cinque volte quella di Bossi, Dunque in grado di distribuire seggi anche nel prossimo Parlamento decimato. Chi si metterà contro? Perdere in Lombardia certo sarebbe una gran botta, ma non è alle viste.
E, paradossalmente, l’assicurazione sulla vita per Salvini è oggi Attilio Fontana, il post maroniano che il Segretario solo qualche mese fa era disposto a sacrificare (fu Salvini a propiziare l’operazione Letizia Moratti). Ora Fontana è la carta da giocare per tenere la Lombardia, rendendo più semplice la cessione “territoriale” della Sicilia (cosa che ai leghisti lombardi non spiace affatto). La differenza sarebbe ovviamente perdere e male alle politiche del 2023. A quel punto, la fantasia rituale che ha sempre contraddistinto la Lega troverà il modo per il suo gesto purificatore. Ma fino ad allora, Salvini ha in mano il partito per mancanza di sfidanti. Ritrovasse un po’ di lucidità nella prospettiva politica (puntare all’estate per ipotetiche rese dei conti non sembra una gran visione) dovrebbe affidarsi di più ai suoi governatori-governisti, e a quegli esponenti della Lega in grado di interlocuzione nel governo e in Parlamento. Too big to fail può essere un buon mantra, può essere una evidenza per un partito in cui la coesione è tutto, ma non è detto sia una formula magica, di quelle che fanno i miracoli.