Gran milano
La rete per l'Ucraina non va in vacanza (i bambini un po' sì)
Anche la guerra nell'orbita europea può creare assuefazione, ma alcuni centri continuano a mantenere alto l'impegno verso i profughi: sono soprattutto parrocchie e volontari a far funzionare una solidarietà capillare
"Non ho mai visto tanti bambini con lo sguardo spento”. In tutto il bailamme del #siamotuttiucraini con pullman che per settimane hanno fatto la spola fra Milano e i confini della Polonia per andare a prendere i profughi – che poi, davanti alla burocrazia complicata delle questure o con la speranza di ritrovare un pezzo del proprio passato, in tanti sono tornati indietro – non sono molte le reti solidali di volontariato che hanno tenuto dritta la barra della solidarietà. Soprattutto quelle spontanee, nate dall’urgenza emotiva e dall’angoscia di avere la guerra dietro l’uscio di casa. Non è un caso che anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella il 25 aprile abbia ammonito chi “sembra dimenticare e manifesta disinteresse per le sorti e la libertà delle persone, accantonando valori comuni su cui si era faticosamente costruita, negli ultimi decenni, la convivenza pacifica tra i popoli”. Nei rituali estivi in città si parla molto del ritorno del Covid, di vacanze, del caro bollette, un po’ (poco) di politica o anche solo di varie amenità. Dei profughi dell’Ucraina, quasi niente. Comprensibile, per carità. Anche la guerra nell’orbita europea può creare assuefazione. Ma non per tutti, per fortuna.
Serve un don Giusto
Fra le reti parrocchiali, quella più ostinata è nata intorno alla figura carismatica di don Giusto Della Valle, parroco di Rebbio, frazione di Como. Lui non è mai andato in Ucraina, ma ha messo a disposizione la sua chiesa che continua a essere un via vai di furgoni, carovane umanitarie, persone che vogliono partire, progetti che nascono e crescono. Insieme alle parrocchie di Maccio e Pellio, sempre nel comasco, un gruppo sempre più numeroso di laici e cattolici passano i loro fine settimana a portare aiuti anche laddove non si sta combattendo ma dove scarseggiano il gasolio, il cibo, le medicine e il coraggio di andare avanti. Una volta creata la sorgente del fiume, da Rebbio si sono formati tantissimi fiumi solidali che non sembrano patire la siccità. E ora che i centri di accoglienza temporanei lungo il confine della Polonia si sono svuotati, gli aiuti vengono portati direttamente in Ucraina, nonostante i bombardamenti del Cremlino. Non è facile capire come accada, ma nella parrocchia di Rebbio continuano ad arrivare scatoloni, finanziamenti, nuovi volontari che si autofinanziano per sentirsi meno impotenti davanti alla guerra infinita contro l’Ucraina. Don Giusto, uomo di poche parole, prende appunti nelle riunioni che si tengono per decidere quali viaggi fare e alla fine ricorda di non dimenticarsi di tutti gli ultimi che hanno bisogno di un rifugio anche se non vengono da quella terra di confine dove è nata la Rus’.
E così c’è chi parte per Korosten, cittadina dell’oblast di Zhytomyr nel nord dell’Ucraina, troppo vicina al confine bielorusso per stare tranquilla anche se non è mai stata occupata dai russi. Lì, ad aspettare i volontari di Como, coordinati da Vincenzo Napolitano, c’è la giovane Julia Kozak, consigliera comunale di 33 anni e volontaria della chiesa battista che, instancabile, porta i cadaveri dei soldati nei villaggi dopo che sono stati recuperati dall’esercito ucraino. (“Era l’una di notte. Ai bordi della strada c’erano i cittadini del villaggio disposti su una fila lunghissima che ci aspettavano in ginocchio con una candela nelle mani. Quando sono rientrata a casa, non riuscivo a parlare né a camminare, mi sentivo completamente svuotata e ho dormito per diverse ore. Volevo solo dimenticare”, ci ha raccontato). Lei si è arruolata volontaria per dare un supporto ai soldati sin dal 2015, quando l’ombra di Putin si è allungata nella sua terra natale, il Donbas. E ha creato un legame con un giovane rappresentante di aziende, Max Corti, che ogni settimana scalpita per poter andare ad aiutarla anche se deve percorrere cinquemila km e attraversare zone che non possono essere considerate sicure.
Giambattista Mosa, coordinatore delle missioni della parrocchia di Maccio nella chat pro-Ucraina creata dalla rete di Rebbio ha appena postato le immagini del quarto viaggio a Leopoli e ha raccontato dei ringraziamenti di padre Ihor Boyko, che nei giorni scorsi ha scritto: “Se qualcuno mi avesse chiesto prima del 24 febbraio dove si trovavano in Italia Villa Guardia, Cantù, Rebbio e Camerlata, non sarei stato capace di rispondere a questa domanda. Ma ora so dove si trovano e che in queste città vive gente straordinaria. Una testimonianza di un amico italiano mi ha colpito molto: ‘Sai padre, io non sapevo perché venivo in Ucraina, ma dopo questo incontro con i profughi, dopo che ho ascoltato le loro storie e testimonianze, visto le loro lacrime e il coraggio, sperimentato il loro dolore, ora lo so’. Fra i volontari ci sono professionisti, medici, autisti, giornalisti, padri di famiglia che portano i figli in Ucraina per renderli più consapevoli di quanto sta accadendo nel cuore dell’Europa. “Può darsi che tra un po’ di tempo e dopo tutti gli sforzi che ci sono stati fatti da parte vostra, uno può anche stancarsi. E questo è normale. Ma vi chiedo di non stancarvi. Noi resistiamo perché la vostra solidarietà ci rende più forti”, ha aggiunto padre Ihor che dirige il Seminario teologico greco-cattolico dello Spirito Santo di Leopoli.
“Abbiamo visto un ragazzo autistico aiutare a spostare i bambini più gravi con rischio di traumi e conseguenze irreparabili”.
Non solo carovane umanitarie
A Rebbio non si organizzano solo carovane umanitarie. Dalla parrocchia è partita una missione di medici per capire come aiutare i 52 disabili gravi sfollati da Kharkiv a Chernivts, ospiti di un orfanotrofio, per affiancare il personale che non ha formazione specifica oltre che per organizzare attività ludiche.
Nella casa parrocchiale di San Giorgio a Pellio, Giovanni Ambrosio ha organizzato centri estivi per famiglie, bambini e adolescenti rifugiati in Romania, a Oradea, grazie alla sinergia con la fondazione rumena People to People. Arrampicate, gite, escursioni per dare una tregua alle loro menti ferite dalla guerra. “Vengono da tutta l’Ucraina e non ho mai visto tanti bambini così tristi, con lo sguardo sempre rivolto a terra. Qui, giorno dopo giorno cominciano a sorridere perché scoprono che il mondo non sta finendo, come mi ha detto uno di loro”, spiega Giovanni Ambrosio, che ha organizzato il campo estivo. “Questa vacanza che abbiamo voluto regalargli è solo una parentesi, ma li aiuta parzialmente a superare lo choc dopo aver visto la loro terra sprofondare”.
Non è stato facile perché basta il rumore di un elicottero in montagna per riportarli nel buio delle loro menti, così come non è facile staccarli dai video della guerra che continuano ad arrivare sulle loro chat, ma nel centro estivo si suona l’arpa, i bambini ballano e nei loro sguardi si intravede ogni un guizzo di vita. Certo, c’è sempre qualcuno, angustiato, che confida ai volontari che vorrebbe tornare ad aiutare i soldati ucraini nelle retrovie; che si sente in colpa a stare in un paese dove non si combatte, ma la mente umana non può sopportare il peso della guerra. Soprattutto se è la mente di un adolescente. Sono innumerevoli le iniziative che si sono irradiate verso il Nord e il Sud dell’Ucraina dalla parrocchia comasca. “Speriamo che non ci si stanchi”, dice e ribadisce il parroco di Rebbio, don Giusto Della Valle, ma i volontari che hanno intrecciato i destini di due popoli non sembrano affatto stanchi, anzi. E in mezzo a tanti fiumi che si diramano in ogni parte dell’Ucraina e fanno crescere una rete sempre più grande, è stato progettato anche altro: era un asilo e ora a Rebbio si vorrebbe farlo diventare un centro di riabilitazione per soldati invalidi. Un progetto nato dalla sinergia con la Caritas di Ivano Frankivs’k dove sono sfollate 130 mila persone. Nella settimana di ferragosto, mentre tutti saranno ai monti o al mare, gli affluenti del fiume creato da don Giusto hanno deciso di spingere le loro correnti fino a Kharkiv perché la loro solidarietà, quella operosa che collega cuore e testa senza passare dalle viscere, non ha scadenza. O forse perché fare del bene fra le macerie di un Paese può diventare anche una tentazione irresistibile.