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Lady Letizia, vera candidata o soltanto effetto fata Morgana?
Da vicepresidente e assessore al Welfare, Moratti si è messa a disposizione. Indizi dicono che potrebbe correre da sola. Gli umori del mondo produttivo, il Terzo settore e un'esigenza politica reale: sottrarre la Lombardia ai sovranismi
Iniziamo con una battuta, anche se non è proprio aria, ma Lady Letizia non se la prenderà perché è donna di garbo e di spirito: se deciderà di candidarsi a presidente della Lombardia, in questo nuovo clima politico devastato dal populismo bipartisan, difficilmente le piazze di Lombardia si riempiano di manifestazioni spontanee come quelle “Draghi rimani”. Però, per come andata, forse è meglio così. Ma se sarà, se davvero la vicepresidente della Lombardia deciderà di esserci alle elezioni del prossimo maggio, di certo non sarà sola. Che ci arrivi candidata di una coalizione di centrodestra che oggi – persino nell’ex regno verde-azzurro di Lombardia – rischia di non esserci più; e che semmai sembra orientata a confermare Attilio Fontana, perché squadra che aveva vinto non si cambia. O che ci arrivi addirittura decidendo di sparigliare. Con una lista civica, e chi verrà verrà.
La cosa politicamente evidente è che oggi in Lombardia c’è un interesse oggettivo a tenere la barra di un governo – regionale e nazionale – moderato, europeista, attento alle imprese. Il contrario delle pulsioni populiste che guidano i due partiti forti di destra. Le prese di posizione di industriali, banchieri, di Assolombarda per il remain di Draghi la dicono lunga; soprattutto se confrontate con l’opposizione sovranista di Meloni e la voglia di strappare del capo della Lega. Che destra governerebbe in Lombardia?
E’ per questo che la possibile candidatura di Letizia Brichetto Arnaboldi Moratti, un curriculum di manager e civil servant che non si sta a elencare, oggi vicepresidente e assessore al Welfare assume, pur con tutte le difficoltà e anche le alte improbabilità, un senso politico chiaro e plausibile. Moratti, chiamata alla disperata nel caos sanitario, con Giulio Gallera giunto al capolinea, e autrice di una riforma della Sanità che magari non piace a tutti, ma promette di essere migliore dei due disastri delle riforme precedenti targate Lega (Maroni e Fontana), segnala con il suo semplice “sono a disposizione” che una svolta è auspicabile, chissà se anche possibile. Aveva scelto proprio la giornata conclusiva della campagna elettorale, come dire nel momento in cui si svelava la sconfitta pesante di Salvini, per fare il passo: “Molti ritengono che dopo un lavoro generoso e positivo di un anno e mezzo io possa essere una risorsa per il centrodestra. Rispetto a questo, penso di poter essere un valore aggiunto per la coalizione. La mia storia personale lo testimonia e da tempo ho dato la mia disponibilità”. E aveva ricordato di “essere stata sollecitata quotidianamente da più parti a candidarmi”, e di aspettare dunque serenamente “un segnale concreto per poter proseguire nel cammino che abbiamo intrapreso fino a qui insieme”. Significativo, aveva parlato proprio nei giorni in cui Attilio Fontana, appena uscito indenne dalle inchieste all’ambrosiana che avevano provato ad azzopparlo, annunciasse che lui c’era, che correva. E cavallo che aveva vinto non si cambia; anche se magari cinque anni dopo i garretti non sono più quelli e soprattutto se al tondino non si tratta solo di decidere chi corre in Lombardia, ma innanzitutto chi corre in Sicilia. Ora, guardinga e misurata, Moratti fa sapere di non avere altro a aggiungere: mi sono messa a disposizione, aspetto che la coalizione prenda una decisione.
Ed è la cosa politicamente più interessante che possa accadere in Lombardia, e nel centrodestra, in questa torrida estate. Perché Fontana o non Fontana, Sicilia o non Sicilia, la verità è che quell’idea di centrodestra e di buon governo che ancora regge con Zaia in Veneto qui rischia di sgonfiarsi nel segno del doppio sovranismo: salvinismo più melonismo. Sempre che sia l’idea che Letizia Moratti sta accarezzando sia reale, e non una fata morgana disegnata dai fumi dell’afa.
Cosa può esserci di vero? Per provare a capirlo bisogna mettere in fila quattro questioni e un antefatto. La prima questione. Se la Lega, partito di maggioranza in Lombardia ma fortemente insidiato dal rivale Fratelli d’Italia sotto la regia di Ignazio La Russa, dice che l’unico candidato è il governatore in carica, chi nella coalizione oserà contraddire? Giorgia Meloni rivendica la stessa legittimità in Sicilia, dove Nello Musumeci è pronto a ricandidarsi ma Forza Italia e la Lega si mettono di traverso, mercé Gianfranco Miccichè, leader siciliano di Forza Italia. Prima di capire cosa accade a palazzo Lombardia, sarà necessario risolvere la partita di Palazzo d’Orleans. Nel Frattempo, Forza Italia sempre più cianotica non dà segni di regia; e neppure il centrista Maurizio Lupi, che pure Salvini vede come il fumo negli occhi, si scosta dalla linea per Fontana. Davvero Moratti spaccherebbe un fronte che può vincere, anche se i venti punti in surplace di Fontana se li scordano? E senza nemmeno l’appoggio di Meloni, che tra l’altro sa, in caso di vittoria, che a Fdi spetterebbe l’assessorato più importante, la Sanità, che vale quasi un ministero di Roma?
Secondo punto. Chi starebbe con lei? Le bocche sono cucite, a partire da quelle dei collaboratori informali che già nei mesi scorsi hanno provato a tastare il terreno, dentro e fuori il Pirellone e nel mondo dei media regionali. Ma Moratti è persona di grandi relazioni. E sono soprattutto le bocche cucite di industriali, grandi manager, mondo della finanza e delle banche che Letizia Moratti ben conosce (è stata presidente di Ubi Banca, uno dei sancta sanctorum dell’industria lombarda, tra Brescia e Bergamo) che lasciano in segreti conversari uscire indicazioni. Dicono che sì: lei vuole. E soprattutto vogliono loro: una parte produttiva della Lombardia – che nonostante le ultime comunali ha sempre il cuore a destra – vorrebbe un cambio di passo, ma non di schieramento, nel governo regionale. E se lista civica fosse, il sostegno ci starebbe. Perché, raccontano, il tempo è cambiato. Dieci anni di regno leghista possono bastare. Quando arrivò Bobo Maroni non c’era ancora il salvinismo di battaglia che ha fatto guai. La regione si è retta sui Guidesi, sulla sponda ministeriale di Giorgetti, che hanno cercato di non deragliare. Ma ora l’opposizione a Draghi ha stancato un mondo imprenditoriale che, pure, non aveva mai voltato le spalle al Carroccio “perché la Lega è l’unico partito che parla con noi”. E se al posto di un sotto-potere ipertrofico e con poco rinnovamento e di un governatore per bene ma senza scettro, ci fosse una figura di carisma, che sa parlare all’estero e alle banche ma anche a Roma? Perché no.
L’antefatto. A Natale 2021, nel disastro degli ospedali e con i magistrati che mordicchiavano e l’opposizione che urlava, l’idea di affidarsi a un numero uno di centrodestra, ma esterna par excellence come Letizia Moratti venne in realtà a Salvini. E lo sventurato promise, o fece insomma una mezza promessa. Oltre a concedere la vicepresidenza – il parafulmine che tolse dai riflettori lo spossato Fontana – e col governatore dato ormai fuori gioco, la promessa fu: sarai tu. Berlusconi ha sempre avuto qualche remora sulla personalità troppo indipendente della manager-ministro, ma finì per accodarsi e applaudì. Poi gli equilibri nel centrodestra iniziarono a cambiare, la parabola di Salvini a scendere. Nei giorni deliranti (per il centrodestra) del Quirinale fu ancora Salvini a gettare nel mazzo il suo nome. Senza poi sostenerlo. Ma lei non si nascose. Al Foglio, poco dopo, disse: “Quando, solo dopo la rinuncia di Berlusconi, mi è stata chiesta la disponibilità – all’interno di una rosa di nomi di cui ho grande stima, come Marcello Pera e Carlo Nordio – ho detto di sì per l’esigenza di dimostrare che il centrodestra ha nelle proprie file tante energie umane, professionali, istituzionali spendibili per le più alte cariche del paese… Sono onorata di aver dato questo contributo”. Nel corso di quella chiacchierata non si parlò di regionali, ma di modello – il modello di un centrodestra riformista liberale lombardo – invece sì, e tanto: “La Lombardia dimostra che è possibile governare con concretezza, spirito imprenditoriale ed essere allo stesso tempo una comunità inclusiva”. E applausi a Draghi. Ma già allora la Lega era divisa, se i salviniani ammiccavano ubbidienti a Moratti, l’idea non è mai piaciuta a Giorgetti, varesino come Fontana e leghista vecchia scuola, né ad altri della Lega governista in regione. Che Moratti non sia tipo da ritirasi così, con un due di picche nemmeno dichiarato, si può anche comprendere.
La terza domanda è capire chi potrebbe essere della partita. E allora spunta una certa idea di Terzo settore, di società benefica e impegno civile di cui Letizia Moratti è sempre stata una paladina e sostenitrice: dalla “sua” San Patrignano a E4Impact Foundation, la onlus attiva per la formazione in Africa che ha coinvolto negli anni molti soggetti, tra cui università milanesi. Il volontariato in Lombardia è un asset fondamentale, se vuoi vincere le elezioni. Non facilissimo da decifrare. Il mondo Compagnia delle opere, attiguo al sistema centrodestra, che con Moratti ha avuto buoni rapporti discontinui, sta immobile alla finestra. Il grande player regionale è Fondazione Cariplo, capofila di tutto un sistema di fondazioni e associazioni, decisivo per un welfare che il pubblico non è in grado di gestire. E’ politicamente trasversale. Ma del grande vecchio Giuseppe Guzzetti è notorio il cattivo rapporto con Moratti. Mentre la Caritas Ambrosiana, braccio operativo della diocesi, ha sempre lavorato a stretto giro con la sinistra (la Casa della Carità) e sostenuto il Pd anche nelle elezioni regionali. Eppure, da quel non trascurabile settore della volontariato laico privato, meno appariscente ma forte e spesso distante dal “mainstream” del Terzo settore ambrosiano, le simpatie per Moratti non mancano. Se discesa in campo sarà, ci si può aspettare un aiuto, come ai tempi di Moratti sindaco.
La quarta casella da riempire riguarda il principio di realtà. Posto che alla sinistra una candidatura indipendente di Letizia Moratti farebbe solo piacere (Enrico Letta da tempo ha messo gli occhi sulla cruciale partita lombarda, e sa che il primo punto è legarsi meglio proprio ai mondi del Terzo settore), per la destra rischia seriamente e di essere un suicidio. Alle scorse elezioni, col vento in poppa di Salvini e nessuna pandemia alle viste, Attilio Fontana subentrò all’ultimo a un Maroni improvvisamente eclissatosi. L’ex sindaco di Varese non fece quasi campagna elettorale, ma vinse di 20 punti. Oggi tutti i sondaggi indicano che la forbice tra destra e sinistra sarà molto più stretta. E un terzo candidato che possa raccogliere una sua percentuale (più di Albertini, che contro Maroni prese il 4 per cento) può determinare molto. Anche al netto deitattici apprezzamenti di Carlo Calenda – che in ogni caso segnalano una insofferenza per i due schieramenti esistenti. Il tema di togliere la Lombardia a Salvini, ma senza regalarla a Meloni, esiste eccome. Vedremo se diventerà concreto, o se sarà invece una fata morgana destinata a sparire appena la finita la torrida estate lombarda.