Gran Milano
Così San Siro rischia di diventare uno stadio per il gioco dell'oca
Dal dibattito pubblico della prossima settimana al mal di pancia del Consiglio comunale: dopo tre anni di parole, l’unica certezza sulla costruzione del nuovo Meazza è che la soluzione non è dietro l’angolo (come sempre)
È un po’ come nel gioco dell’oca: non importa quanto cammino hai fatto, basta finire nella casella sbagliata e si torna al punto di partenza. Un esito che rischia lo stadio di San Siro nonostante ben tre anni, a dir poco tribolati, di dialettica tra Comune, cittadini più o meno organizzati e le società Inter e Milan.
La prima casella rischiosa è la più imminente e riguarda il dibattito pubblico che partirà la settimana prossima: dieci incontri in due mesi, 5 in sedi istituzionali e altri 5 presso privati, in cui sarà illustrato il progetto in tutti i suoi aspetti. Si potrà seguire in presenza o a casa, in streaming, e presentare domande alle quali risponderanno rappresentanti dell’amministrazione comunale, della due società e tecnici che in questi anni hanno approfondito le tematiche che riguardano il piano di riqualificazione.
Secondo Carlo Masseroli, ex assessore all’Urbanistica della giunta Moratti e attuale Head of strategy and development di Nhood, si tratta di un’operazione positiva ma pone alcuni paletti: “Il dibattito pubblico è uno strumento di condivisione e affinamento davvero eccezionale ma è necessario che ci sia un indirizzo già deciso e definito, dev’essere chiaro che non si tratta di un referendum. Se ad esempio avessimo chiamato i milanesi a pronunciarsi su Citylife e Porta Nuova probabilmente avremmo potuto avere un esito negativo: oggi tutti parlano di questi interventi come il simbolo del nuovo rinascimento milanese. Deve, quindi, essere un’opportunità, non un freno allo sviluppo, dal quale possono arrivare indicazioni per un miglioramento del progetto. A queste condizioni sono sicuro che il dibattito pubblico sarà un salto culturale“. Più preoccupato si mostra Sergio Scalpelli, già assessore allo Sport con Albertini oggi presidente del Centro internazionale di Brera, che vede una forte incognita nello sviluppo del dibattito: “Se resta circoscritto a coloro che sono stati protagonisti finora è un conto, se invece mostra un livello di partecipazione consistente le cose cambiano, diventano più complicate e bisognerà tenerne conto”.
La seconda casella si chiama Consiglio comunale: dovrà dare il via libera, sicuramente nel 2023, alla convenzione con i club che stabilisce la concessione delle aree che, lo ricordiamo, sono pubbliche. Sarebbe stato impensabile ipotizzare solo qualche mese fa un voto contrario del Consiglio, ma ora tira un’aria diversa. In campagna elettorale Ignazio La Russa non ha esitato a manifestare in piazza assieme ai comitati anti-stadio e Berlusconi ha ribadito il suo stretto legame affettivo con il Meazza; per cui, nell’opposizione, resta a favore solo la Lega. In maggioranza, a parte l’ostilità dei Verdi e di gran parte della lista Sala (sofferenza per Sala, da sempre possibilista) c’è il Pd che rappresenta quasi metà dell’aula: finora le voci critiche si sono limitate a pochi consiglieri.
C’è però l’incognita del dibattito pubblico e dei mal di pancia che si registrano in un Consiglio comunale umiliato dall’essere stato tenuto fuori dalla questione, fino al punto da dovere apprendere dalla stampa la notizia dell’abbattimento radicale di San Siro, le intenzioni dei due club. Per Fedrighini, consigliere della Lista Sala, ancora diversi punti sono da chiarire: “L’esigenza di modernizzare lo stadio per aumentare il business è comprensibile ma gli strumenti per realizzarla sono da discutere: ricordo che l’abbattimento dello stadio non è giustificato dalla legge sugli stadi e avrebbe costi ambientali altissimi”.
Una terza casella di rischio è rappresentata da ben due ricorsi al Tar presentati dai comitati cui si deve aggiungere il monito del presidente del Coni Giovanni Malagò a non toccare l’impianto fino alle Olimpiadi del 2026. I tempi si dilatano, insomma, per Scalpelli non è da escludere che “il Milan, che ha raggiunto un assetto societario definito, possa tentare l’opzione Sesto”. Ipotesi scartata da Fedrighini a causa “dei costi troppo alti nell’area ex Falck”. L’unica certezza è che la soluzione non è dietro l’angolo. Dopo tre anni di parole.