L'epoca d'oro immobiliare è finita, prepararsi in fretta al futuro
Aste deserte e rinvii, per Palazzo Marino un guaio. Investire costa troppo per le imprese, e i mercati stanno a guardare
Solo tre anni fa accadeva che un’asta per il cosiddetto Pirellino, il vecchio grattacielo comunale che domina via Melchiorre Gioia, scatenasse una competizione degna di un film con ben quattro concorrenti che effettuarono 85 rilanci da 500 mila euro ciascuno. Alla fine la spuntò Coima con l’offerta monstre di 193 milioni, 125 in più rispetto a una stima dell’immobile di appena 6 anni prima. Quell’operazione è stata un po’ il simbolo di una stagione in cui il mercato immobiliare andava a gonfie vele, consentendo a Palazzo Marino di incassare cifre da record: si coglievano i frutti di un piano di valorizzazione del patrimonio immobiliare – così veniva definita con pudore l’applicazione dei prezzi di mercato – che curiosamente era stato portato avanti dalle amministrazioni di centrosinistra dopo una gestione lassista del centrodestra.
Quei tempi sembrano lontani. Nelle ultime settimane quattro gare sono andate deserte, di queste tre riguardavano l’affitto di locali in pieno centro città. Ma non è tutto, è stato un flop persino il bando per assegnare il negozio “Davis” in Galleria Vittorio Emanuele che si affaccia su piazza Duomo: un brutto segnale se si pensa che la Galleria da sola era in grado di assicurare lo stesso gettito dell’intero patrimonio immobiliare del Comune di Roma. Un altro caso da non trascurare riguarda l’ex caserma Mameli, in viale Suzzani, interessata da un progetto di riqualificazione affidato al Fondo investimenti che fa capo alla Cassa depositi e prestiti: un soggetto finanziariamente solido, che però ha chiesto e ottenuto dal Comune il rinvio di un anno del piano attuativo causa rincaro delle materie prime.
La realtà è che si è di fronte a una nuova stagione che richiede un impegno a 360 gradi, come spiega al Foglio la presidente di Assimpredil Ance, Regina De Albertis: “Il problema principale è il caro materie che ha provocato in un anno un aumento dei costi per le imprese del 35 pere cento e che ha determinato un freno alle transazioni e una diminuita fiducia negli acquisti”. Invertire la rotta è possibile, per la leader delle imprese edili: ma servono misure radicali da varare in tempi stretti: “Abbiamo una grande opportunità offerta dai fondi del Pnrr, 380 milioni per Milano, che rischia di essere minata dal fatto che le gare sono state studiate sui prezzi precedenti alla guerra in Ucraina: in questo modo le imprese hanno paura a partecipare perché non vogliono mettere a repentaglio i propri capitali. Bisogna agire subito creando i preziari dinamici, come accade in Spagna e Francia, che garantiscono un aggiornamento continuo al contrario del sistema in vigore che ne prevede solo due l’anno”. L’altra risposta ha già trovato una realizzazione: “Lo scorso mese abbiamo stipulato un accordo con il Comune per tutelare le piccole e medie imprese: chi le aggrega negli appalti di grosse dimensioni ha diritto a premialità”. Basta questo per restituire ossigeno al mercato? La stessa De Albertis ammette che ci aspettano tempi difficili: “Milano è resiliente e resta una città attrattiva ma in questo momento negli investitori esteri c’è qualche preoccupazione, diciamo che i fondi sono alla finestra: chiedono certezze sui tempi, sulla velocità di esecuzione e noi dobbiamo essere in grado di rassicurarli. E’ il momento di fare squadra, impresa e pubblica amministrazione in partnership”.
Dal Comune la mano è tesa ma, anche qui, non si nasconde che la sfida è in salita a causa di fattori che preesistono alla crisi ucraina. Spiega l’assessore ai Lavori pubblici Pierfrancesco Maran: “Abbiamo un codice degli appalti varato per un sistema senza inflazione. Oggi con i cambi dei prezzi, per un’impresa che fa fatica a reperire materiali e risorse umane, è difficile partecipare a una gara e, in caso di aggiudicazione, mantenere gli impegni”. Anche il discorso sui prezzi è da rivedere, non tutte le colpe sono da attribuire alla guerra: “A gennaio avevamo già registrato un incremento dei prezzi del 30 per cento conseguenza del bonus del 110 per cento”, aggiunge l’assessore. “Tutte le filiere hanno subito questo stress. Il rapporto con le imprese diventa ora fondamentale e il modello è la Milano da fare, impostato 6 anni fa, che con gli anni è diventato uno strumento strutturale di confronto, come dimostra il protocollo del mese scorso a favore delle piccole imprese che abbiamo mutuato dall’esperienza inglese”. Una riflessione è in corso anche all’assessorato al Demanio, la parola d’ordine è arrestare il triste spettacolo delle gare deserte. Le modalità vanno riviste o si corre il rischio, com’è accaduto per Largo De Benedetti, che non si arrivi all’assegnazione nonostante un’offerta sia stata presentata: in quel caso il bando prevedeva almeno un rilancio di 5 milioni che non è arrivato neppure da Coima, titolare dell’unica offerta. Chiaro il messaggio della società di Manfredi Catella: sono finiti i tempi d’oro, Palazzo Marino è meglio che si accontenti.