GranMilano
Il Pd nel suo labirinto, nessuna uscita si chiama Moratti
Vicoli ciechi per i democratici in Lombardia che non possono accettare le logiche romane. Le primarie sono iperuranio e anche Pisapia si sfila
Nel disastro attuale della sinistra, compito degli appassionati di politica è guardare le cose d’insieme, e anche cercare e indicare opzioni praticabili: anche se poi spesso vanno a cozzare contro la testa dura dei fatti o degli stessi politici. Così seguire il filo del percorso molto “nazionale” disegnato da Renzi e Calenda, quello di un Pd che accetti la candidatura con Letizia Moratti, ha un senso e una logica. Poi però se si prova a camminare in una Milano fattasi d’improvviso fredda, e non solo nelle sezioni dei dem, viene da pensare che l’ipotesi che Letizia Moratti possa vincere le elezioni in carrozza, portata da un centrosinistra balcanizzato, è un errore di parallasse. Così come pensare che delle elezioni lombarde possa decidere solo Roma, con le interviste di Zanda a dare la linea: non funzionava così in automatico nemmeno ai tempi del Pci.
Vista da qui, la situazione è diversa: meno teoria e più faccende concrete. Bastano poche telefonate e un mezzo giro nelle sezioni: il Pd di tutta l’area metropolitana di Milano non riesce neppure a concepire l’idea di sostenere Moratti. Non è solo una divisione tra riformisti e massimalisti. Pure i riformisti à la Pierfrancesco Maran non la possono digerire, senza almeno le primarie; e gli altri riformisti se ne sono già andati nel Terzo Polo. Non possono concepire l’idea per tanti motivi. Uno fra tutti: è contro di lei che è stata fatta la rivoluzione arancione ai tempi di Giuliano Pisapia. Un altro motivo, di tipo autonomista: accettare vorrebbe dire che nelle cose lombarde comanda Roma, che non a caso continua a tirare bordate per fare l’alleanza (nella più totale incapacità di Letta di contare ormai qualcosa, con i suoi niet). Anche Repubblica, che fu a Milano il giornale della rivoluzione arancione, spinge di lì.
Certo, le parabole politiche nazionali passano tutte per Roma (Milano è secondaria, si sa), ma sotto la Madonnina certa tracotanza decisionale sulla testa di quelli che devono andare a prendersi i voti – e l’hanno sempre fatto, con risultati record come alle amministrative dell’anno scorso – non fa piacere affatto. Oggi come oggi è chiaro a tutto il partito locale, che è quello che colpevolmente ha traccheggiato, aspettando o tenendo sulla corda Carlo Cottarelli, che poi si è tirato fuori perché i tempi e schieramenti sono cambiati, non può cedere perché si verificherebbe una scissione nel partito e un vortice impossibile da controllare. Ed è per questo che come extrema ratio è stato lanciato l’appello salvifico a Giuliano Pisapia che ha detto però che lui non c’è, e che non vuole essere tirato per la giacchetta. E così per il Pd si esaurisce un’altra opzione, come una margherita che perde i petali.
Ormai le vie d’uscita sono terminate, e il Pd si trova di fronte a due sole soluzioni. La prima è quella di tentare la via delle primarie. Proporle a Letizia Moratti non ha giovato agli interlocutori che sono andati a ragionare con lei, ma rimane l’unica via con la quale i dem non si spezzerebbero in due tronconi. La segreteria regionale, con le primarie proposte a Letizia Moratti, rimanda la palla nel campo di Renzi e Calenda. Ben sapendo che quest’ultimo, nei colloqui riservati in giro per la città, ha detto e ripetuto che le primarie sono roba taroccata che il Pd controlla totalmente. Però l’appoggio ipotetico alla sua candidata passerebbe da là. E un aiuto insperato alle primarie in Lombardia, ragionano a Milano, potrebbe arrivare da quell’Alessio D’Amato che domani al Brancaccio dovrebbe confermare di volere le primarie nel Lazio. E’ il candidato del Terzo Polo, se volesse primarie a Roma perché non dovrebbe farle Moratti in Lombardia? Wishful thinking meneghino sponda (una parte) dem.
L’altra opzione si chiama Emilio Del Bono, sindaco di Brescia. Al Foglio, aveva detto di essere disponibile, anche tramite primarie. Appartiene all’unico potere che pare ancora solido nella Lombardia confusa e spersa del centrosinistra: quello dei sindaci, con alla guida Beppe Sala. Ma c’è un incubo che il Pd si sogna di notte e pure di giorno, riassumibile così: c’è solo una cosa peggiore di candidare la Moratti, ed è perdere contro la Moratti. L’incubo di arrivare terzi, ipotesi che si fa più possibile o probabile ogni giorno che passa. Intanto, là davanti, pure la manfrina sul fatto che Attilio Fontana sarà ricandidato oppure no (e Giorgetti, e Garavaglia, e bla bla bla), è finita con un comunicato di 3 righe secche nel quale tutti i leader del centrodestra hanno detto che è lui a doversi giocare la partita. Almeno sul quel lato la giocano, e di qui, invece, no.