Gran Milano
Bertolaso cerca di completare quello che Letizia Moratti non ha concluso
L’uomo delle emergenze e della campagna vaccinale è stato chiamato a sostituire ex vicepresidente della Lombardia) alla guida della macchina sanitaria della regione
Nel generale terremoto politico (ma sarebbe meglio usare il plurale: un terremoto per parte) causato dalle dimissioni con candidatura avversa di Letizia Moratti, è passato in secondo piano, quasi inosservato, un avvicendamento che in altre occasioni avrebbe destato interesse. A sostituire al welfare Letizia Moratti è stato chiamato Guido Bertolaso, l’uomo ovunque, d’antico imprinting berlusconiano, ogni volta che c’è da mettere in sicurezza un’emergenza. E i lombardi lo sanno, per il contributo dato durante la pandemia. Se avesse uno stemma: umiltà e concretezza. E tanti politici farebbero carte false per somigliare almeno un po’ a Guido Bertolaso. Uomo dello stato, quando serve: durante il terremoto in Abruzzo, del 2009, ha messo in sicurezza 80 mila persone, subendo anche il solito processo, per uscirne completamente pulito. Richiamato in servizio permanente effettivo durante i mesi più difficili del Covid, non ha voluto un euro per mettersi a disposizione, allestire corsie d’emergenza, andare a caccia di ossigeno e respiratori.
“Ma rappresentanti del governo, all’epoca, non ne ho visti qui a Milano, la Lombardia nei primi mesi di pandemia è stata lasciata sola”, dice ora l’ex capo della protezione civile. E ora, seppure per pochi mesi, a Bertolaso sarà richiesto di guidare la macchina sanitaria lombarda: con una campagna vaccinale che sarebbe un errore (Moratti dixit) lasciar decadere, ma anche con i primi passi di una riforma che sarà anche argomento della campagna elettorale dell’opposizione. Ma Bertolaso c’è, e la politica non è cosa sua.
In tanti anni di lavoro accanto alla politica, ha confessato una sola tentazione: “Avrei fatto volentieri il sindaco di Roma”. Una città trasformata da Virginia Raggi in un disastro a cielo aperto, e il suo successore sta completando l’opera. Ma anche in quel caso ha sacrificato le ambizioni personali per la famiglia.
E infine la chiamata di Attilio Fontana, non si è tirato indietro. E ai cronisti a caccia di una parola contro l’ex vicepresidente dice: “Ho lavorato con Letizia Moratti, abbiamo fatto squadra e organizzato una campagna di vaccinazione che a livello mondiale non ha avuto rivali. Lei dava indirizzi di carattere politico insieme a Fontana, io ho eseguito la parte tecnica, spesso anche di notte, per garantire le vaccinazioni. Grazie anche al lavoro del generale Figliuolo abbiamo avuto un risultato straordinario”. Detrattori serviti.
Tocca a lui completare ora il percorso di una riforma sanitaria voluta dalla Moratti per avvicinare la cura ai cittadini, mentre i medici scarseggiano e gli “internisti” lanciano l’allarme: “Ci sono malati che non possiamo dimettere per motivi sociali, non clinici. Non basta rivedere l’organizzazione del pronto soccorso, serve un intervento più ampio”. Spiegano dal Policlinico: “La medicina interna si prende cura del paziente nella sua complessità, e per questa caratteristica si trova a gestire i casi che più impegnano oggi le risorse sanitarie: sempre più anziani, con molte malattie, sempre più complessi”.
E i malati rimangono bloccati al pronto soccorso perché i letti nei reparti spesso sono occupati da anziani in via di miglioramento, ma che non possono tornare a casa perché nessuno può badare a loro. La sanità lombarda è osservata speciale, perché non basta una riforma sulla carta e le case di comunità (o della salute), occorrono medici e un collegamento meno burocratico tra quelli di famiglia e le strutture sanitarie, ma soprattutto vanno accorciate le liste d’attesa per gli esami specialistici e gli interventi. Bertolaso ha poco tempo, ovvio, ma dice: “Stiamo lavorando per dare risposte ai cittadini che, quando chiedono visite specialistiche, devono avere la garanzia di un appuntamento entro un determinato periodo di tempo”. Sarebbe già un risultato. Poi c’è l’eterna questione pubblico-privato da gestire. Ma quella sarà campagna elettorale.
A scanso di equivoci e senza badare agli equilibri di governo, Bertolaso ha messo subito le carte in tavola: i medici no vax non entreranno nei reparti dove sono ricoverati i più fragili. Perché un servitore dello stato sa che deve saper difendere i cittadini, a partire dai più deboli.