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Solita storia, se mancano i fondi la politica taglia la cultura. Sala, Galli e chi non ci sta
Il comune di Milano ha annunciato che ridurrà i contributi, mentre la Regione lo ha già decretato. Anche se il sindaco meneghino e l'assessore regionale hanno risposto in maniera diversa alle proteste. Intanto il filosofo Stefano Zecchi, ex assessore milanese alla Cultura, spiega che ridurre la spesa non è l'unica strada. Ma bisogna "trovare il coraggio"
Non c’è niente da fare, quando la congiuntura è negativa e bisogna mettere far quadrare i conti la vittima sacrificale è sempre la cultura. Non fa eccezione Milano che stavolta non fa sconti neppure alla Scala, l’istituzione culturale più famosa nel mondo: il Comune ha annunciato che ridurrà i contributi, mentre la Regione lo ha già decretato. L’unica differenza tra i due enti è emersa nello stile con cui Beppe Sala ha risposto a muso duro ai sindacati della Scala: “Dovendo tagliare, è più grave tagliare i fondi alla Scala o tagliare il trasporto per i disabili?”. Ma stavolta, al sindaco, nessuno ha rinfacciato la celebre battutaccia di Tremonti. Più prudente Stefano Bruno Galli, dopo le dure proteste arrivate da Brescia per i tagli al Centro teatrale bresciano e alla Fondazione Teatro Grande: l’assessore regionale alla Cultura ha subito sterzato spiegando che ci saranno “integrazioni”, espressione che suscita speranza anche alla Scala e al Piccolo che si sono visti decurtare i finanziamenti regionali (rispettivamente del 45 e 55 per cento).
Sarebbe sbagliato pensare che alleggerire le finanze degli assessorati alla Cultura sia un’operazione senza rischi. Al contrario negli ultimi anni si è avuto modo di assistere, specie in quello comunale, a furiosi scontri politici con Palazzo Marino. Risalgono al 2005 le dimissioni di Carrubba per protesta contro il licenziamento di Carlo Fontana da sovrintendente della Scala, più di recente nel 2013 l’epilogo del tormentato rapporto tra Boeri e Pisapia: lasciando l’assessorato l’archistar attaccò il sindaco proprio sul tema delle risorse spiegandogli che “la cultura per Milano non è un lusso, ma una risorsa fondamentale per lo sviluppo”. Sarebbe sbagliato anche pensare che l’assessorato di Palazzo Reale sia un parente povero, basta osservare i dati sulle spese correnti del 2022 che si attestano sul 3,5 per cento della spesa complessiva, in linea con quelli degli anni precedenti. Per avere un riferimento: l’impegno del governo per la cultura è dello 0,3 per cento, al di sotto della media europea.
Resta il fatto che quando c’è da usare le forbici la direzione è sempre la stessa. Esiste un’altra strada? Sì, secondo Stefano Zecchi, filosofo nonché titolare della Cultura nella seconda giunta Albertini, che giudica non obbligata la via dei tagli: “Greppi, il primo sindaco di Milano del Dopoguerra ha fatto il contrario di quanto si sta facendo oggi stanziando somme ingenti per la ricostruzione della Scala – spiega al Foglio – Mi rendo conto che quando la coperta è corta non è facile agire ma spetta al sindaco trovare il coraggio e la forza di sostenere la cultura altrimenti si cade in un atteggiamento miope”. Disse Tremonti che “con la cultura non si mangia”, espressione vera solo in parte per Zecchi: “Se non dai un sostegno, se non offri l’opportunità di crescere è vero che non si ottengono profitti e si rischia di assecondare situazioni parassitarie. Da assessore sono sempre stato contrario ad assegnare soldi a pioggia, perché un politico deve sapere distinguere. Quando si riesce a impostare un discorso basato sulla competenza allora si può mangiare anche con la cultura”. Resta da capire cosa si sta giocando l’amministrazione con questa posizione drastica: “Con Albertini non ho mai fatto tagli, ho fatto il restauro della Scala, lanciato gli Arcimboldi: sono convinto che dalla cultura si vede il valore di un’amministrazione”.
Sulla linea dell’ex assessore si ritrova un operatore culturale come Matteo Forte, direttore dei teatri Lirico e Nazionale, che ritiene da rivedere l’impianto dei finanziamenti: “Bisogna uscire dalla logica che le attività culturali debbano essere assistite con il denaro pubblico, fare cultura non significa lavorare solo per una nicchia ma sapere attrarre la gente, solo così si può stare sul mercato: non è possibile che la Scala, che ha un bilancio di 100 milioni, non riesca generare utili da distribuire alla citta”. Niente fondi indiscriminati, allora, ma erogazioni che tengano conto di ogni specificità. “Il 50 per cento delle risorse andrebbe assegnato ai teatri di eccellenza e l’altra metà ai gestori che si sostengono da soli. Chi opera in questo settore deve capire che si devono affrontare le sfide con un occhio agli spettacoli e l’altro ai bilanci: accanto al direttore artistico ci vuole un amministratore delegato”.
Giovanni Seu