Granmilano
I segreti della tipografia Bonvini a Scalo di Porta Romana
Immersa in quella parte di Milano che sarà enormemente suscettibile di radicali cambiamenti in occasione delle Olimpiadi invernali, il negozio rappresenta la possibilità di un altro modello di socialità, relazione e scambio culturale
La messa in scena sembra essere quella di oggi mentre camminando lungo Rue Glaize a Montpellier non si può far altro che divincolarsi tra i tavolini degli innumerevoli locali (e localini) che la sommergono, e non quella che raffigurava nel film di José Giovanni del 1973, Deux Hommes dans la ville, una tipografia in una qualche strada di una piccola città di provincia. Ma la trasformazione di ogni angolo cittadino in quella sorta di salotto della nonna con suppellettili varie, dette anche “arredo urbano” come avverte Fran Lebowitz, ha ormai invaso ogni angolo del quieto vivere cittadino, dall’Europa fino a Time Square. In quella ipotetica tipografia lavorava Gino Strabliggi, il personaggio interpretato da Alain Delon, che grazie alla mediazione del rieducatore Germain Cazeneuve (Jean Gabin), sembrava poter superare il suo passato da gangster e potersi rifare una vita. La tipografia, storicamente patria di anarchici e libertari, è da sempre un luogo magico e capace di modificare destini e permettere inedite relazioni.
Ed è proprio partendo dalla capacità relazionale che è in grado di sviluppare che è stata recuperata e riportata in attività la storica cartoleria e tipografia Bonvini. Immersa in quella parte di Milano – scalo di Porta romana – che sarà enormemente suscettibile di radicali cambiamenti in occasione delle Olimpiadi invernali, Bovini si pone come una possibilità altra di socialità, relazione e scambio culturale. Fulcro di un vero e proprio distretto della scrittura, la cartoleria è oggi al centro di una rete che coinvolge artigiani, artisti e intellettuali così come semplici acquirenti della cartoleria, un milieu che va ben oltre il gusto per la carta e i prodotti di cancelleria. Bovini infatti nei suoi molteplici spazi offre possibilità di residenza ad artisti che vogliano sviluppare progetti legati al territorio e al suo racconto, ma soprattutto si pone come luogo di scambio che permetta di far incrociare esigenze come le attività anche nuove che si stanno sviluppando nel quartiere legate alla scrittura. Così come il recupero dei macchinari rappresenta una vera e propria reinterpretazione della modernità novecentesca, così l’approccio di chi si avvicina alla tipografia è legato a un’azione partecipativa che coinvolge gli artisti come gli stampatori. Un lavoro di cura strettamente creativo in cui quello che un tempo fu industriale, con l’obiettivo di produrre quel capolavoro che sia rappresentativo oltre che di una prova di abilità, di un ordine di pensiero originale e potenzialmente generativo.
Il quartiere ancora profondamente abitato da una residenzialità storica sta vivendo una trasformazione che Milano ha già visto nei suoi quartieri più centrali. Il 2026 sarà l’anno in cui tutto questo potrebbe avere il suo compimento con le Olimpiadi invernali e la messa in funzione del villaggio olimpico, quello che avverrà dopo però resta ancora un nodo tutto da sciogliere. Ed è proprio in un’ottica di continuità trasformativa che si pone l’azione di Bovini, il distretto della scrittura. Uno spazio materiale, ma anche lo spazio immateriale della produzione del pensiero. Un movimento che offre però un sorprendente ribaltamento del concetto comune. Un esercizio per nulla di stile, ma fortemente concreto che prova a definire una sintesi di un pensiero collettivo, nato dall’incontro di esperienze e competenze diverse che decidono di dialogare traducendo le proprie specificità in un terreno comune e distintivo. Un distretto che ha sì in Bovini, nella sua tipografia, come nella sua cartoleria e nel suo ricco archivio di quaderni storici, un punto di ristoro, ma che si pone sempre come un approdo in cui arrivare per poi ripartire. Uno snodo capace di accogliere profili e competenze diverse in una pratica quotidiana. Un vero e proprio potenziale museo diffuso in chiave contemporanea che accoglie e trasforma chi vi entra in relazione, e che come tale vive delle imprevedibili possibilità della società. Un distretto che offre una possibile salvezza non resistendo, ma aprendosi alle opportunità rigenerando e mutando di volta in volta. Ben oltre dunque una banale messa in scena.