Granmilano
La Crocifissione di Masaccio fa brillare la collezione Fondi Oro Crespi al Diocesano
Il metodo è la via del garbo e dell’approfondimento, in un lento percorso di avvicinamento all’opera in cui, sala per sala, si spiega il contesto in cui è nata, illustrando anche le più recenti ipotesi sulla cappella originaria col polittico
La Crocifissione di Masaccio come mai si era vista prima si può ammirare, fino al 7 maggio, al Museo Diocesano di Milano. Arriva dal Museo e Real Bosco di Capodimonte di Napoli grazie all’affinità elettiva tra il suo direttore, Sylvain Bellenger (racconta lui stesso che è stata proprio l’infatuazione per la tavola di Masaccio a dirottarlo dagli studi di filosofia alla storia dell’arte), e Nadia Righi che del Diocesano è direttrice. E arriva non catapultato a caso, ma quale sentito omaggio alla collezione Fondi Oro Alberto Crespi, 41 dipinti dal XIV al XVI secolo, di ambito prevalentemente toscano e veneto, acquistate dall’illustre giurista e collezionista milanese lungo una vita intera, e donati al Diocesano prima ancora che il museo aprisse i battenti. E ora allestiti, per volere del mecenate, scomparso quasi centenario lo scorso settembre, in un’apposita, raffinata sessione, che è un unicum tra i musei lombardi e che presentare il contesto perfetto in cui presentare il capolavoro di Masaccio.
“Mostra dossier”, la definisce Nadia Righi, che ha conquistato Bellenger con l’eleganza dei nuovi allestimenti della collezione permanente del museo e la felice risposta del pubblico, attratto da un Diocesano finalmente vivace e persino aperto al contemporaneo (fotografia inclusa: in questi giorni merita una visita anche Portraits, la personale dell’inglese Lee Jeffries dedicata a struggenti ritratti dei senzatetto). Righi è abile anche nella gestione pratica degli affari museali: in attesa della riapertura primaverile del bristot, i chiostri di Sant’Eustorgio, gradevole spazio esterno del museo, sono affittati per una delle sfilate di questa frenetica fashion week meneghina, perché per fare belle mostre servono finanziamenti, e non intuizioni. L’esposizione, curata da Righi e da Alessandra Rullo, conservatrice di Capodimonte, è un’immersione nella “rivoluzione del Masaccio” che in appena 27 anni di vita comprese prima di tutti la lezione di Brunelleschi e la tradusse in pittura (vedi alla voce Cappella Brancacci di Firenze), riuscendo, in questa tavola che fu cuspide del polittico per la chiesa di Santa Maria del Carmine a Pisa, a compiere l’impensabile: rendere futuristico un fondo in oro, il più tradizionale dei formati.
Nel 1426 Masaccio sfonda tutto, rompe ogni criterio e dimensione, pur dovendo sottostare al budget e allo stile richiesto dal borioso notaio ser Giuliano di Colino degli Scarsi e senza scontentare i Carmelitani che governano la chiesa pisana. Ma il polittico fu smembrato quasi subito (la tavola centrale con la Madonna in trono è alla National Gallery di Londra, altre parti sono allo Staatliche Museen di Berlino e al Getty di Malibu). Ora lo possiamo vedere a Milano ricostruito, a grandezza naturale, in un video di 3 minuti di sorprendente cura ed efficacia. Il Diocesano avrebbe potuto più banalmente prendere il Masaccio di Capodimonte, metterlo al centro di una grande sala e cercare l’effetto-wow!: ha scelto invece la via del garbo e dell’approfondimento, in un lento percorso di avvicinamento all’opera in cui, sala per sala, si spiega il contesto in cui è nata, illustrando anche le più recenti ipotesi su come potesse essere la cappella originaria col polittico.
È il preludio necessario per presentarsi davanti a Masaccio in religiosa ammirazione: in una saletta scura, punteggiata da tendaggi di seta leggera, pensati dagli architetti Alessandro Colombo e Paola Garbuglio per rendere l’incontro solenne, quasi liturgo, comprendiamo il perché di quel Cristo così “infossato”, di quelle prospettive così eccentriche. La Crocifissione se ne stava a 5 metri di altezza dagli occhi dei fedeli del tempo e Masaccio ce li fa avvertire tutti, persino dipingendo l’alluce di San Giovanni visto dal basso, studiando ogni ombra di quello spazio dorato, così astratto eppure così vero. Su tutto e su tutti spicca la Maddalena, di rosso vestita, di spalle, in un urlo straziante che possiamo quasi udire: le sue braccia spalancate paiono voler misurare uno spazio che è un abisso, il suo gesto è disperato, lei con “la nuca dorata-disperata / con ordine-disordine / ravviata-scompigliata” pare “inchiodata all’Assoluto adorato”, come recitano i versi di Giovanni Testori per lei scritti nell 1989 in un volume voluto da Franco Maria Ricci e ora riprodotti quale teatrale gran finale che chiude il cerchio di questo “Masaccio milanese”, al termine del percorso espositivo.