Foto di Angelo Carconi, via Ansa 

GranMilano

Quanto vale davvero in Lombardia la vittoria di Schlein. Ipotesi

Fabio Massa

Più voti, ma non troppi rispetto a quanti ne prese Civati, la neosegretaria si scontra con l'opposizione forte di Fontana. Può contare su Majorino, ma ci sono anche gli incerti, come Giorgio Gori

Uno scrittore americano ha detto che se si torturano i numeri abbastanza a lungo, questi confesseranno qualsiasi cosa. Ricondurre la vittoria di Elly Schlein su Stefano Bonaccini a una matematica fatta di addizioni non rivela quel che c’è dietro, ovvero un entusiasmo di parte e uno strazio dall’altra, con dirigenti che nel day after si chiedono se sono più distanti dalla nuova segretaria o dal Terzo Polo, e il che è tutto dire.

 

Da queste parti non si è mai dato valore alla teoria che se l’astensione è più alta allora l’eletto è delegittimato. Vale per Attilio Fontana, vale per Elly Schlein. È anche pur vero che se nel 2007 le primarie portarono al voto 3 milioni e mezzo di persone, nel 2013 con Renzi furono 2 milioni e 800 mila, nel ’17 un milione in meno, poi a quota un milione e mezzo con Zingaretti e poco più di un milione con Schlein. Insomma, un grande mezzo di scelta della leadership, forse l’unico davvero democratico, ma anche un meccanismo che in 15 anni ha perso molto smalto.

 

In Lombardia, ad esempio, Schlein ha totalizzato 100 mila voti per un totale del 65 per cento dei consensi. Pippo Civati, che lanciò Schlein coinvolgendola nella fondazione di Possibile, nel prese 71 mila ma arrivò al 18 per cento. Insomma, con quei voti il Kennedy della Brianza che ora fa l’editore e di politica non si interessa più in modo attivo, oggi avrebbe vinto alla grande.

 

L’unica costante, in questi conti flashback, è il flop di Cuperlo, nel 2013 e dieci anni dopo, ma a questo nel Pd sono abituati. 
Altra lettura è la componente milanese per il Pd nel corpus dei voti regionali. Un solo aggettivo: preponderante. E questo spiega molto anche la debacle contro Fontana. Milano e area metropolitana costituiscono infatti il 50 per cento dell’intera quota dei voti raccolti da Schlein. Schlein che su Milano può contare ora su un peso massimo come Pierfrancesco Majorino, che dovrebbe riuscire a spuntarla su Emilio Del Bono nel ruolo di capogruppo in Consiglio regionale. Certo, l’ex sindaco di Brescia mastica amaro, con le sue 35 mila preferenze. Ma difficilmente potrà ottenere altro che un posto da vicepresidente del Consiglio regionale. 

 

E i riformisti milanesi? Con i se non si fa la storia. Ma sempre i numeri – che abbiamo deciso di torturare – rivelano che alle politiche nel collegio senatoriale lombardo, che dunque si sovrappone a quello delle regionali, il Terzo Polo ha preso il 10,15 per cento. In Lombardia Letizia Moratti ha preso il 9,87. Con un rilievo: il 5,30 per cento dei voti sono alla sua lista civica. Dunque, i due dioscuri Renzi e Calenda si sono fermati al 4,25. Sicuramente cannibalizzati dalla candidata presidente, ma che a questo punto non costituiscono una alternativa immediatamente percorribile per le tante anime che si chiedono da chi siano più distanti. se da Gelmini o da Schlein. E quindi? Quindi niente.

 

Tutti fermi e palla in frigo. Anche Giorgio Gori, che aveva ipotizzato di lasciare i dem in caso di vittoria di Schlein ora spiega che “dipenderà da come affronterà alcuni nodi fondamentali: se terrà o non terrà il Pd nella sfera atlantica, se terrà o non terrà la posizione che Enrico Letta con grande determinazione ha tenuto sul tema della guerra e degli aiuti all’Ucraina, se affronterà con pragmatismo il tema del lavoro e non soltanto dei salari ma anche della creazione di lavoro e della produttività del nostro sistema economico. Se sarà così quello sarà certamente il mio partito come lo è stato in questi anni a prescindere da chi ne sia stato segretario”.

 

Quindi, niente. Non si esce anche se il discrimine di Gori è complicato per Elly. Servirebbe una posizione mediana, ma la nuova segretaria sarà anche democristiana? Chissà. E Lia Quartapelle? “Buon lavoro Elly Schlein che ha accolto un bisogno di innovazione e che da oggi è segretaria di tutti noi“. E Pierfrancesco Maran? Lui articola, e attacca il gruppo dirigente: “Tra le difficoltà del Pd in questi anni c’è stato proprio anche il continuare a cancellare competizioni per tutelare i dirigenti in carica, la giornata di ieri dimostra che quando ti apri e ti metti in gioco puoi scoprire strade nuove”.

 

Schlein “ha il vantaggio di essere pienamente legittimata da un voto popolare, anche di chi come me ha votato per Stefano Bonaccini. Ma è questo il bello delle competizioni interne”. Ovviamente, nel frattempo, ognuno resta al suo posto. Sono incarichi elettivi, e dunque non vengono a cessare con il cambio di segreteria e linea politica. Anche perché la sfida vera arriverà a ottobre, con le segreterie metropolitana e regionale. E ora di allora chissà che cosa succederà nel complesso mondo delle correnti milanesi. La militanza, delle volte, diventa ridotta nella quale resistere. Diventa gioco di alleanze. In una parola: politica.

 

C’è poi chi vorrebbe qualcosa di nuovo, di terzo anche rispetto al Terzo Polo, come Sergio Scalpelli: “Noi, che desidereremmo far esistere una formazione liberal-democratica e riformatrice, togliamoci quel sorrisino compiaciuto per l’esito delle primarie che colgo in tante chat della mia bolla e attrezziamoci a costruire un partito che sia cofondato, se lo vorranno, anche dai tanti che nelle prossime settimane penseranno a cosa fare. Cofondato, visto che il partito non esiste, vuole dire che chi vuole parteciparvi, da domani o tra qualche settimana, potrà essere, appunto, un cofondatore e sentirsi a casa sua. Evitiamo cazzate da primogenitura e da primi della classe”. Un auspicio e una prece, forse.

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