GranMilano
I guai di Milano? Non sono la gentrification e ci sono da anni
I problemi di oggi sono i problemi di ieri, e quello principale non è quello dei prezzi delle case.
Chi pensa che i problemi di Milano stiano nel mattone sbaglia per sottovalutazione. E non di poco. Nel gennaio 2021 usciva per Chiarelettere il mio libro “Fuga dalla città”. Parlava di tutti i problemi che Milano non solo ereditava dal Covid, ma anche da epoche precedenti e che erano stati messi sotto al tappeto dell’impetuosa crescita economica, del mercato immobiliare “a cannone” verso le vette degli attuali prezzi, del denaro che aveva ripreso a circolare vorticosamente dopo gli anni della crisi finanziaria partita dagli States e che aveva devastato in città gli anni del mandato di Letizia Moratti.
Ora, due anni dopo, il risentimento di Selvaggia Lucarelli nei confronti della città, e segnatamente nei confronti del prezzo delle case, ha riaperto un dibattito che non si sarebbe mai dovuto fermare: come sta Milano? E soprattutto non si sarebbe dovuto fermare in campagna elettorale, un anno e mezzo fa. Una campagna elettorale tra le più scialbe e inutili in assoluto, con la destra sclerotizzata nell’urlare a una emergenza sicurezza (esattamente come ha fatto la sinistra alle Regionali su un’emergenza sanità), e la sinistra a dire che andava tutto bene perché Milano era la città non solo più giusta, ma anche più cool. Un anno e mezzo dopo, a parte gli allarmi tardivi (e non solo di Lucarelli), nulla è cambiato. E non è cambiato nulla non perché tutto vada bene, ma perché i problemi di oggi sono i problemi di ieri, e a scanso di equivoci diciamolo subito: il punto principale non è quello dei prezzi delle case. Quelli sono chiaramente una bolla che non è determinata dalla politica, né influenzata dalle scelte del decisore pubblico se non in minima parte. Semplicemente i grandi fondi hanno deciso di investire su Milano e oggi gli investitori sanno che se mettono un euro su un edificio se ne troveranno 1,5 nel giro di un anno. Quando però la curva inizierà a flettere, allora si avviterà in una spirale e Milano ricadrà giù rovinosamente. Il meccanismo delle bolle. Così come chi ha comprato nel 2010 e venduto nel 2022 ha portato a casa dei bei soldi, chi compra nel 2022 e venderà quando la spirale sarà iniziata, perderà dei bei soldi.
Fatta questa lunga premessa, è incredibile che ancora non si parli del resto dei problemi di Milano. Problemi irrisolti.
Piccola rassegna. Milano si è proiettata, trascinata dalla sua élite, nella battaglia per essere resiliente e “verde”, ma questo passa da una transizione durissima e assai costosa. Chiudere con Area B, obbligare a usare l’auto elettrica (e dunque a comprarsela), eliminare come si ipotizza le linee di parcheggio gialle è un costo, e questo costo non se lo possono permettere tutti. E quelli che se lo possono permettere, possono anche decidere di parcheggiare la Porsche sul marciapiede prendendosi una multa al giorno. Inoltre il prezzo delle case espelle cittadini, che vanno verso i quartieri periferici, e questo allarga la città e aumenta la necessità di movimentare le persone da un punto all’altro. Le restrizioni sul trasporto privato spingono il trasporto pubblico, che però è gravato da un problema strutturale: la rete di Milano è troppo fitta e troppo efficiente e troppo costosa per essere pagata dalle finanze comunali, e i fondi del Tpl che lo Stato trasferisce tramite le Regioni sono troppo pochi. L’aumento del biglietto colpisce ancora una volta la classe medio-bassa. Risultato? La classe medio-bassa viene espulsa, e si impoverisce non solo la gente, ma la città stessa che perde slancio in quell’ascensore sociale che ne è sempre stato il segreto. Sul lungo periodo quello che vediamo oggi è l’inizio di un fenomeno che se non bloccato porterà a perdita di attrattività sul mercato nazionale e poi internazionale. Il problema non è neppure la gentrificazione, ma l’espulsione di quel che sta intorno. Come scrivevo nel 2021, la sostenibilità ambientale può essere qualcosa che gli ultimi, i penultimi e i terzultimi, non si possono permettere. Sbagliavo: la guerra in Ucraina e l’impennata dei prezzi mostrano che anche i secondi, i terzi e i quarti avranno problemi a compiere la transizione.
Ma c’è di più. La lista delle doglianze è più lunga, e peggiore perché irrisolta nel silenzio generale. Milano si vantava, con marcette varie, di essere la città dei diritti. Eppure si è tollerato e si tollera la presenza dei rider senza tutele, gli stupri in piazza Duomo a capodanno, le bottigliate tra gang rivali nella zona del Lazzaretto, il cottimo digitale dovuto a uno smartworking selvaggio e al contempo il lassismo digitale dovuto a uno smartworking furbetto.
E ancora: Milano era il luogo dell’elaborazione politica, dove un tempo le cose avvenivano prima: il fascismo, la sinistra Dc di Marcora, il socialismo craxiano, Cl, il berlusconismo, il renzismo, il salvinismo. Con l’ultimo Pd di governo e con l’attuale maggioranza Milano va a rimorchio, o proprio non va: vive avulsa da Roma, che è il vero e unico centro di potere politico della nazione. Ricordate i fondi del Tpl? Ecco, se Roma non sblocca, Milano soffoca. Eppure tutto questo non porta a una proposta politica forte, e il futuro è ancora più incerto poiché già ora il centrosinistra dovrebbe ipotizzare la nascita di qualcosa per il post-secondo mandato di Beppe Sala. E il centrodestra dovrebbe decidersi a mettere contenuto e teste spendibili in ottica futura. Nel dibattito globale, in una città che per le sue dinamiche ha divari sociali sempre più forti e che dunque non può essere concepita come “giusta”, non può essere “modello Milano”, quale può essere la direzione da prendere rispetto a Roma? La scarsa elaborazione politica attuale non consente di vedere una via, una direzione.
Altro problema: Milano ha abdicato a qualunque idea politicamente compiuta sulla “Grande Milano”, sull’area metropolitana, che non viene coinvolta ma respinta ed esclusa dall’equazione proprio quando i cittadini sono portati a trasferirsi “fuori”. Intendiamoci: non tutto è perduto. Perché uno può fuggire da Milano, ma se lo fa non è un milanese. Perché un milanese fa come diceva Greppi, primo sindaco dopo la Liberazione: tutto è da rifare, ricostruire e riconsacrare. E allora rimbocchiamoci le maniche.