Gran Milano
Il rapporto disuguaglianze di Fondazione Cariplo e due esempi su scuole e giovani. Cosa fare
La proporzione tra centro e perfieria nelle grandi città riflette un dislivello che esiste già dalla nascita. E che si riconferma nelle istituzioni scolastiche
Immaginiamo una gara in cui alcuni concorrenti partono con qualche metro di vantaggio e che, per quanto possa essere lungo il percorso, non solo non vengono raggiunti da chi sta dietro ma aumentano senza difficoltà il vantaggio iniziale. È un po’ questo il quadro di una città come Milano (attrattiva, escludente, inclusiva, esclusiva: insomma tutte le caratteristiche contrapposte di un dibattito in corso) che emerge dal primo “Rapporto Disuguaglianze” elaborato dalla Fondazione Cariplo, che non riguarda solo Milano ma che nella metropoli lombarda ha un campo di verifica importante: il gap si forma già nella culla e si trascina nel tempo senza possibilità di sparigliare le posizioni di partenza.
A confermare questa affermazione c’è in particolare un’indagine realizzata su due istituti medi superiori, uno del centro l’altro in periferia: nel primo i genitori laureati sono il 77 per cento, nel secondo appena il 9. Da qui una divaricazione nel modo di pensare e probabilmente di comportamento: gli studenti della scuola decentrata sono più portati a diffidare del prossimo e magari anche ad approfittarne, a farsi giustizia da sé e fare qualche piccolo imbroglio quando si profila la possibilità. Esiste, insomma, anche una diversità etica, psicologica che si aggiunge al divario di preparazione: “Che dopo la circonvallazione, la linea della 90-91, esista una realtà diversa rispetto al centro è un fatto evidente – spiega al Foglio Carlo Cerami, presidente di Rodo, società che ha tra i suoi azionisti principali Fondazione Cariplo e Cassa Depositi e Prestiti – la scarsa capacità di reddito porta le famiglie in periferia dove poi si effettua una scelta territoriale per l’istruzione dei figli. Oggi il tema della scuola, rispetto al passato, è di drammatica attualità perché la pubblica, anche quella eccellente, non è più sufficiente per fare arrivare ai livelli più alti delle professioni che necessitano una formazione molto costosa: Milano offre servizi professionali di altissimo livello ma se non riesce a trovare le figure adeguate le cerca altrove, drenando risorse umane e culturali al resto del paese”.
C’è un altro aspetto analizzato nel rapporto che rende più inquietante la disparità tra gli ambienti più benestanti e quelli meno: le diseguaglianze sono esplicite già dalla prima infanzia e si riflettono sul modo di pensare e relazionarsi dei bambini. “La china è molto forte – commenta Cerami – ci sono quartieri in cui l’abbandono scolastico è rilevante e il ritardo nella preparazione dei giovani è evidente: credo che rendere la scuola accessibile a tutti dovrebbe essere in cima a una forza di governo, un impegno che può diventare efficace solo all’interno di ampie politiche pubbliche sociali e culturali che portino spazi, luoghi di aggregazione e di pratica degli sport nelle fino alle aree più periferiche”.
Un ultimo aspetto della ricerca merita una riflessione. Il 46 per cento degli studenti del liceo in centro reputano assolutamente indispensabile la conoscenza di una o più lingue straniere contro il 21 dei colleghi di periferia e al 55 per cento vorrebbero svolgere la propria vita professionale all’estero contro il 29 dei pari età dei quartieri decentrati. Quasi una differenza antropologica, anche se Cerami invita a prendere con le molle alcune narrazioni prevalenti: “Milano non è Londra anche se ne sta assumendo alcuni aspetti, non è neppure una città tutta gentrificata. È vero che esiste il mito dell’estero ma è un’esterofilia che alberga in una parte della borghesia. Quanto alle periferie ricordo che in passato erano una fucina di creativi, uno spazio in cui erano possibili sperimentazioni che una certa borghesia infiacchita si precludeva, ancora oggi è da quelle realtà che arrivano i nuovi artisti, musicisti, attori, creativi”.
Per fare tornare vitali quegli ambiti urbani la risposta spetta alla città: “Milano deve attingere al proprio Dna – spiega il presidente di Redo – alla grande tradizione del welfare ambrosiano, penso a realtà come le scuole civiche che sono state un importante luogo di formazione. Un primo passo sarebbe affidare un tutor per indirizzare i figli anche alle famiglie povere, così come accade per quelle ricche. Si può fare partendo da quell’etica privata che ha sempre spinto i più ricchi al senso di solidarietà”.