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Da Pavia, piccola città universitaria, idee per fare gli studentati
Il rettore Svelto, presidente della commissione ministeriale per i nuovi alloggi, spiega storia, pubblico e privato
Il paragone con Milano, ovviamente, non regge perché al confronto Pavia è una cittadina, pura provincia da 70 mila anime, ma il fatto che oramai oltre un terzo dei suoi abitanti sia rappresentato da studenti fa pensare. Vuole dire che il sistema universitario pavese ha raggiunto un tale grado di attrattività (dal 2010 il numero di iscritti è cresciuto del 25 per cento) ma allo stesso tempo di sostenibilità per le tasche delle famiglie, che vale la pena capirci qualcosa in più in questo periodo di proteste per il caro affitti.
Qual è il segreto di Pavia? Il rettore Francesco Svelto, milanese “e anche milanista”, come lui stesso si definisce in un colloquio col Foglio, dice che non c’è una ricetta magica, ma tutto si basa sulla capacità di tenere insieme antichità e modernità, pubblico e privato. “Pavia città-campus non è uno slogan – dice – ma un dato di fatto, è un modello che è stato costruito in parte grazie a un’eredità storica, di cui sono parte attiva gli antichi e prestigiosi collegi Ghislieri e Borromeo, in parte con la costruzione e l’acquisizione di nuove strutture per aumentare l’offerta di posti letto – un esempio è l’ex collegio dei salesiani Don Bosco di recente entrato a far parte della nostra rete –, e in parte grazie alla lungimiranza dell’amministrazione comunale che da diversi anni, a prescindere dal colore politico, promuove una politica di contratti di locazione a canone concordato per cui uno studente paga per un alloggio da un privato non più di 300 euro al mese e anche all’interno dei collegi il costo varia, a seconda delle fasce di reddito, da un minimo di 240 a un massimo di 370 euro al mese”. Del resto Pavia ha una storia universitar ia secolare, era la cittadella degli studi di Milano quando ancora Milano non aveva una università pubblica.
Cifre molto lontane dai 6-700 euro pagati per una stanza a Milano, al netto delle spese, o dagli 800 in media che si sborsano per un campus privato. Pur essendo improprio qualsiasi tipo di paragone tra le due città, per dimensione dell’offerta formativa, per pressione abitativa ma anche per la sostanziale assenza a Pavia del boom degli affitti brevi che a Milano ha ridotto drasticamente l’offerta per studenti a vantaggio dei turisti, qualche riflessione si potrà pur fare, tanto più che Francesco Svelto, proprio grazie all’esperienza di rettore dell’Università di Pavia, a fine 2021 è stato nominato presidente della commissione ministeriale per la legge 338, quella, per intenderci, che dal 2000 a oggi ha finanziato in Italia la costruzione degli studentati pubblici e para-pubblici ed è arrivata al quinto bando, tutt’ora in corso. Sarebbe possibile estendere il modello Pavia al resto d’Italia? “Direi che ogni ateneo e ogni contesto urbano è un caso a se stante, quello che stiamo cercando di fare è snellire e velocizzare gli iter pubblici per la realizzazione di nuovi posti letto; ma bisogna anche rendere tutti gli attori di questo processo consapevoli dell’importanza di avere una società dinamica, in cui l’ascensore sociale funziona e il merito ha un valore così come lo ha il diritto allo studio”, spiega Svelto. “A Pavia abbiamo ragionato così ed è andata bene: oggi circa il 10 per cento degli iscritti all’Università è collegiale. Dati storici consolidati dicono che gli studenti di collegi hanno rendimenti migliori rispetto a chi non vive tale esperienza, che nel tempo abbiamo arricchito con tanti corsi che si integrano con quelli della didattica universitaria”. Ma c’è anche un altro dato interessante, figlio di questa esperienza, che se diventasse una tendenza nazionale potrebbe aiutare a colmare una disuguaglianza storica di genere dovuta più a cause culturali che reali. Secondo uno studio promosso da Assolombarda, all’Università di Pavia una studentessa su quattro è iscritta a una laurea Stem: una delle percentuali più alte in Italia, (la media nazionale è del 18,3 per cento). “Un risultato ottenuto anche grazie alla presenza dei collegi universitari – assicura Svelto – Anche per questo primato, alle studentesse dell’Università di Pavia che si iscrivono a corsi di laurea Stem sono riservati 90 posti nei collegi universitari pubblici gestiti da Edisu, l’ente regionale per il diritto allo studio”.
La presenza dell’Edisu – che gestisce 11 collegi su 16 – è uno degli elementi che fa la differenza nel modello pavese perché consente di tenere bassi i costi dei servizi che incidono sulla spesa finale a carico dello studente. Diverso, naturalmente, è il discorso per i collegi completamente privati, compreso il celebre Ghislieri fondato nel 1570 da Papa Pio V con l’intenzione di promuovere un rinnovamento culturale e morale della società attraverso la formazione di una classe dirigente più preparata. Anche in questi casi, però, la quota relativa all’alloggio che è parte di una retta complessiva in cui spesso sono compresi anche tutti i pasti, non arriva mai a superare i 500 euro mensili. Merito di una tradizione antica di studi universitari che ha lasciato sul territorio collegi ospitati in palazzi rinascimentali stupendi e capienti, come ricorda Svelto, ma anche di un approccio culturale che promuove il merito: visto che a queste strutture, riconosciute dal Miur, si accede solo per concorso.