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Quei dieci anni in cui con  Berlusconi abbiamo trasformato Milano. Il racconto di Albertini

Daniele Bonecchi

L’ex sindaco e la milanesità operativa guidata dal Cav. Il grande balzo in avanti, le grandi opere con zero avvisi di garanzia, i rapporti virtuosi con la società civile

Ha interpretato per dieci anni il buon governo berlusconiano a Milano, con un profilo del tutto personale. Oggi ripercorre quella stagione col Foglio, con una nota di orgoglio, mista al rimpianto. “Berlusconi è riuscito a farmi cambiare idea, vita e lavoro”, spiega Gabriele Albertini, sindaco di Milano negli anni del successo elettorale del Cav. Per spiegare la sua scelta Albertini, che in un primo momento aveva rifiutato, racconta: “Gli avevo mandato un fax in cui spiegavo ‘con rammarico’ per la quarta volta – era il 28 febbraio del ’97 – che esprimevo ‘la mia inadeguatezza al ruolo’, motivata da una scarsa propensione alla mediazione. Berlusconi mi chiama e con un tono sconfortato mi dice ‘sono demoralizzato, penso di dimettermi anch’io, perché se non trovo un imprenditore come lei per guidare Milano, regalo alla sinistra anche Rete 4’. Lei – aggiungeva Berlusconi – non è solo un imprenditore, 'è anche presidente della più importante categoria dell’industria, vuol dire che lei crede nei valori dell’impresa. E allora come fa a dire no, le offro un’opportunità straordinaria: poter portare quel modo di agire, i valori dell’imprenditorialità nella nostra città. Il comune è una grande impresa di servizi’. A quel punto ho dovuto capitolare”, aggiunge Albertini.

“Aveva una straordinaria capacità, quasi rabdomantica, nell’interpretare i sentimenti delle persone con cui parlava, anche coi grandi: con Putin, con Bush, con la Merkel”. 
Ma soprattutto, riprende il filo Albertini: “L’imprenditorialità al governo, questo è stato il suo messaggio, io ho fatto di tutto per realizzarla. Così ho cambiato la macchina comunale, ho avviato la privatizzazione delle aziende, ho promosso gli investimenti immobiliari per rigenerare la città, ho rilanciato le metropolitane, ho ristrutturato il teatro alla Scala, la centrale termica computerizzata, la centrale operativa per il traffico, i tre depuratori, il termovalorizzatore, la cablatura della città, il passante ferroviario, il polo di Rho-Pero della Fiera, il teatro degli Arcimboldi. Ancora oggi mi domando come abbiamo fatto a fare tutta ’sta roba”. E tutto questo, ci tiene e precisare l’ex sindaco, “senza un avviso di garanzia: un record, ma siamo andati oltre: con la Procura ho avuto un rapporto simbiotico, estremamente positivo, costituendo anche un gruppo di lavoro anti corruzione chiamato Alibabà. Siamo riusciti in 9 anni a eliminare dagli appalti 600 aziende poco trasparenti”.

Naturalmente Berlusconi – inseguito fin da subito dalla Procura di Milano, non era entusiasta del rapporto “speciale” tra Borrelli e Albertini. “Sull’argomento, con Berlusconi ebbi uno scontro ma poi ci siamo chiariti, perché per aprire le porte ai privati era assolutamente necessario il rigore e la correttezza. Un esempio? La realizzazione del teatro degli Arcimboldi costruito dalla Pirelli – cambio oneri di urbanizzazione – a tempi di record”. La trasparenza è stata una delle credenziali dell’amministrazione Albertini, e un marchio di fabbrica di quel centrodestra riformista, liberale e moderato che è stato il portato di Berlusconi anche in città.

Una presenza  ingombrante? “Durante il primo mandato Berlusconi è stato assolutamente coerente con l’impegno che aveva preso con me – chiarisce l’ex sindaco – anzi mi ha aiutato in tutti i modi. Altra cosa il mondo che ruotava nel partito, popolato da molti politici della Prima Repubblica, molto interessati a occupare il potere degli enti. Un esempio: arrivò il momento di costituire il nuovo Cda dell’Atm. Proposi Bruno Soresina, già dg di Federmeccanica e ad di Siemens, ma salì un mugugno pazzesco dal partito. Berlusconi, anche qui, fu coerente con l’impegno preso: volle conoscere Soresina e poi fece sua la proposta. Il risultato per l’azienda fu notevole: 154 miliardi di deficit nel 1998, che nel 2006 si trasformarono in 83 milioni di utili. Anche nella vendita della Centrale del latte il ruolo di Berlusconi fu decisivo. Erano in competizione la Yomo e la Granarolo. La Yomo era associata ad Assolombarda e le pressioni non mancarono. Ma la Granarolo fece una proposta economica enormemente più alta. Anche qui feci prevalere una scelta pragmatica. Così, oltre ad incassare una bella cifra, sull’area dell’ex Centrale del latte riuscimmo a programmare la realizzazione del college Bocconi”.

Un decennio d’oro per il centrodestra. “Milano era riconosciuta come l’amministrazione del buon governo. Poi negli anni successivi è prevalsa una certa amarezza ed è iniziato anche il lento declino. “Sono sempre stato leale con Berlusconi ma per indole mai fiduciario di nessuno: “Fa i rob giust’, si dice in dialetto milanese. Lui, a un certo punto, ha deciso di valorizzare cortigiani e pretoriani: l’errore più grosso che ha fatto”, ammette Albertini che conclude: “Dei dieci anni di amministrazione del “buon governo” sono rimaste le opere: le piramidi restano e i faraoni passano”.

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