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Altro che non demolire niente. Milano è bella perché pensa e cambia. Parla Cucinella
"Non vedo barbari alle porte di Milano. Vedo dei cambiamenti, che sono vita per la città”, ci dice l'architetto e designer: "Serve più buon senso e meno ideologia"
"Non vedo barbari alle porte di Milano. Vedo dei cambiamenti, che sono vita per la città”. Mario Cucinella, architetto e designer nato a Palermo, svariati lavori con Renzo Piano tra Londra e Parigi e da trent’anni a capo di uno studio di una novantina di collaboratori che ha firmato progetti significativi anche qui in città (ne citiamo almeno due: il Nuovo Museo d’Arte Fondazione Luigi Rovati di corso Venezia e il masterplan di MIND Milano Innovation District nell’ex area Expo), si ricorda bene di quando “le Varesine erano un luogo del terrore: chi mai le rivorrebbe?”. A Vittorio Sgarbi che nei giorni scorsi, commentando la demolizione di una villa neo-medievale alla Maggiolina, ha parlato di cupio dissolvi tutta meneghina, addirittura di “barbara violenza, Cucinella risponde pacato che “a volte conviene conservare, a volte bisogna demolire per ricostruire meglio, a volte bisogna proprio ripensare tutto. Serve più buon senso e meno ideologia. Ho la sensazione che spesso se ne faccia solo una questione di date più che di qualità degli edifici: mica tutto ciò che è stato fatto in passato deve per forza essere mantenuto in piedi. Una città non può contare solo sull’istinto di conservazione, con lo sguardo rivolto indietro”. E ancora: “E’ nella natura umana costruire gli spazi del proprio tempo: una metropoli come Milano non sarebbe quella che è senza le stratificazioni che si sono succedute nel corso dei secoli. Non vorrei che il non cambiare nulla e il conservare tutto sia solo un alibi per non sbagliare”.
Se il cambiamento spaventa (basti pensare con che scarso entusiasmo venne accolta Torre Velasca dello studio BBPR), questo non può diventare, specie per chi decide sui destini urbanisti di una città, una scusa: “Facciamo tutti fatica a fare i conti le novità. E i mutamenti architettonici necessitano per loro natura di prospettiva. Pensiamo alla zona di Garibaldi e Repubblica: quanti anni sono stati necessari perché diventasse ciò che è oggi? Coi giudizi si corre veloci, ma le trasformazioni urbane sono lente e richiedono tempo per essere digerite dagli abitanti. Nella stessa Milano, in questo momento, sono aperti moltissimi cantieri. Lo dico senza polemica: dovremmo interrogarci piuttosto su questa questione, anziché sulla singola demolizione di una palazzina. Alla fine dei lavori, che tipo di città avremo? C’è una visione d’insieme? In che Milano vivremo tra dieci anni? Su questo sì che servirebbe un ampio dibattito”.
Passati due decenni a inseguire il modello anglosassone della “città che sale” (“diciamolo senza pudore: Milano è una città ricca e ha creato tanto benessere per il sistema paese”), il sistema da un po’ è entrato in crisi e forse, suggerisce Cucinella, è il momento di guardare, urbanisticamente, là dove un tempo arrivavano i barbari. “Penso al modello di Vienna che è stata capace negli ultimi decenni di portare in centro la contemporaneità, non ha avuto paura di cambiare alcuni connotati della città storica, eppure ha investito anche nell’edilizia pubblica, favorendo l’incrocio di culture diverse ed evitando le ghettizzazioni”. A Vienna si è realizzata negli ultimi decenni una seria politica abitativa, sia in centro che in periferia, un reale “place to be”, non una pittata di facciata su certi quartieri decentrati che da noi hanno visto solo impennare i prezzi: “Se è vero che l’abbandono urbanistico è la culla dei tanti drammi di cronaca cui stiamo assistendo in questi giorni, penso ad esempio alla piscina di Caivano, luogo-simbolo dell’orrore, la gentrificazione è l’altro male di cui soffrono tante città di oggi. Nessuna metropoli, Milano inclusa, può fare a meno dei giovani, ma se viviamo il tema degli alloggi universitari solo come un problema, se rendiamo la city un luogo inospitale perché troppo cara e inaccessibile per gli studenti non abbiamo capito nulla del futuro. Bisogna demolire ciò che non serve per fare spazio a nuovi servizi, a nuove residenze, a nuova vita”. Il cambiamento arriverà dalle periferie? A Mario Cucinella il termine piace poco: “Preferisco parlare di città moderna. Dentro MIND ci sarà spazio per aziende e realtà che operano nel settore dell’innovazione, ma anche per un grande parco fruibile a tutti. La città moderna eco e green non puoi farla a Brera: servono spazi ampi da valorizzare e questi potranno avere un impatto positivo sull’intero assetto della metropoli. La zona della Bicocca, da questo punto di vista, ritengo sia ancora tutta da sviluppare, anzi da riscattare”.