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Casa Atellani, Morando e gli altri: la svolta non culturale a dispetto dei Forum

Fabiana Giacomotti

La notizia della chiusura di Casa degli Atellani cade inoltre in un momento particolarmente infausto per lo stato dell’arte di Milano che, nelle stesse ore in cui si è svolto il “Forum Cultura 2023, si vedeva privato della visita dei quattro musei civici

Per prima cosa, una nota nei riguardi della vendita della Casa degli Atellani a Bernard Arnault. Non è detto che si sia conclusa perché, a quanto risulta anche al ministero della Cultura, la casa e parte del giardino – “Vigna di Leonardo” esclusa – sono vincolati, e dunque qualunque atto notorio di vendita di un bene tutelato deve necessariamente superare l’offerta formale in prelazione allo Stato per un periodo di trenta giorni, e a quanto ci risulta questo atto non è (ancora?) stato inoltrato. Abbiamo provato a cercare lumi presso la soprintendente Emanuela Carpani, da poco nominata soprintendente anche a Torino, molto nota perfino ai tifosi di Milan e Inter per via del ruolo determinante nel futuro assetto dello stadio Meazza di San Siro, senza però ottenere risposta.

Dunque, se le notizie che vedono dal primo ottobre le visite pubbliche alla Casa sospese sine die sono certe e fonte di molti malumori cittadini, resta ancora da capire se lo Stato intenda fare di uno dei pochi gioielli architettonici rinascimentali milanesi, di proprietà privata, un bene ancora più privato, cioè del solo Arnault, privandone del godimento residenti e turisti e creando un’odiosa contraddizione con quella che dovrebbe essere la linea di tutela dei beni nazionali, dalle imprese alle bellezze architettoniche, impressa dal governo Meloni. La notizia della chiusura di Casa degli Atellani cade inoltre in un momento particolarmente infausto per lo stato dell’arte, reale e metaforica, di Milano dove, nelle stesse ore in cui si è svolto il “Forum Cultura 2023 – Milano contemporanea”, promosso come “una giornata di talk, dialoghi, riflessioni e approfondimenti (…) per esplorare a discutere il ruolo dell’arte contemporanea nel tessuto culturale cittadino”, lo stesso tessuto culturale cittadino si vedeva privato dell’opportunità di visitare nei consueti orari quattro musei civici: il Museo archeologico, situato nell’ex convento del Monastero maggiore di san Maurizio i cui affreschi di Bernardino Luini, Boltraffio, Foppa e relative scuole vengono considerati dai milanesi un equivalente locale della Cappella Sistina, Palazzo Moriggia o “Museo del Risorgimento”, poi Casa Boschi di Stefano, un gioiello di collezioni pittoriche e di design novecentesco a cui tutti ci si rivolge per prestiti importanti in occasione di mostre antologiche, e infine il Museo Morando, unico presidio milanese sul racconto della moda, costantemente demoralizzato negli obiettivi e nei progetti da supervisioni poco interessate a quello che è il motore dell’economia cittadina.

In quella che è una città sempre meno curata, afflitta da logiche mercantili spicce, i musei, par di capire, saranno aperti solo tre giorni alla settimana. La delibera firmata dall’assessore alla Cultura, Tommaso Sacchi, approvata in Giunta la scorsa settimana, mette in luce “l’esigenza di razionalizzare le spese legate all’impiego di personale a supporto dell’attuale attività di guardiania e accoglienza svolta dagli operatori museali comunali, continuando a garantire la fruizione del patrimonio, ma anche la sicurezza di persone e beni”. In sintesi: al di là dei talk e dei dialoghi, non ci sono soldi e, come dice al Foglio Sacchi, che conferma di aver dovuto “giocoforza e molto a malincuore” prendere la decisione dopo aver incrociato costi e dati sulle visite, la “misura sarà temporanea”, e si spera verrà annullata a dicembre, quando dovrebbero entrare in forze altri quattordici dipendenti museali, selezionati attraverso un bando che si è concluso in queste ore.

Gli si ribatte che, con una programmazione più attenta e aperta, e una maggiore collaborazione progettuale fra musei, visite e sovvenzioni avrebbero potuto essere maggiori e misure frustranti come queste evitate. Sulla questione della moda pesa anche lo stop al progetto di trasformazione di Palazzo Dugnani in un centro polifunzionale destinato alla valorizzazione del settore in modi e obiettivi di contemporaneità, cioè con atelier condivisi, progetti di residenze creative, che al momento dell’annuncio era stato subito fatto oggetto di interessi e logiche spartitorie da parte dei grandi attori del settore, un modus operandi storico, costante e che è anche il motivo per il quale le grandi mostre di moda tendono a non approdare più a Milano. Il sottosegretario al Mic Lucia Borgonzoni, che aveva pronti oltre due milioni e mezzo di euro iniziali da stanziare per il progetto di Palazzo Dugnani, pare se ne sia allontanata, un po’ stupefatta.

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