Gran Milano
La città multipolare che non si misura in 15 minuti, ma in reddito
Crescita e disparità allineate ai trend europei, dicono i dati. Per la politica buon segno, ma senza equità ci si fermerà
In tanti percorrono via Melchiorre Gioia. Si dipana dalla periferia fin dentro il quartiere dei grattacieli, lambendo il Palazzo della Regione e il nuovo scintillante palazzo di Gioia 22, la “Scheggia di vetro”. Eppure pochi sanno chi fu Melchiorre Gioia, economista, filosofo e politico vissuto tra il Settecento e i primi dell’Ottocento e vissuto lungamente a Milano. È a lui che si deve il motto “ottenere il massimo prodotto con la minima spesa”. E sempre sua è una descrizione perfettamente meneghina dell’imprenditore, colui il quale sa “aspettare gli eventi, prevederli, prepararli, farli nascere, restare impassibile ai casi avversi, non lasciarsi sconcertare dagli improvvisi, correggere prontamente ove sia successo abbaglio, opporre fronte di bronzo alle censure degli ignoranti”. Oggi, di fronte alle mutazioni profonde che sta avendo Milano, che qualcuno – e con più di qualche ragione – potrebbe definire involuzioni, non c’è nessuno, neppure tra i celebrati imprenditori milanesi, che abbia la capacità di prevedere o preparare gli eventi.
Viceversa il mercato immobiliare milanese sta dimostrando con la massima efficacia che cosa voglia dire ottenere il massimo prodotto con la minima spesa. Almeno su questo Melchiorre Gioia (oggi sinonimo di sviluppo abitativo) ci aveva azzeccato. Eserciti di rentier, proprietari di monolocali e bilocali anche nelle zone meno pregiate sono stati investiti da una vera e propria ondata di denaro semplice, dovuta agli affitti e alle vendite schizzati alle stelle. E non ci sono solo loro. Chi costruisce ha in Milano una città praticamente perfetta: prezzi costantemente alti, tanta densità che vuol dire molti servizi, un centro storico di livello (anche se nelle vie più trafficate si inizia a notare un certo degrado nella cura degli spazi pubblici), nuovi quartieri di lusso (Porta Nuova, Fiera), zone residenziali popolate in esclusiva da un ceto decisamente alto. Non è un caso che il Comune di Milano abbia registrato il record degli introiti da oneri di urbanizzazione proprio alla vigilia dell’estate appena finita. Vuol dire che a Milano non si è mai costruito così tanto.
Eppure gli studi ci dicono che sta nascendo una nuova Milano, che avrebbe bisogno di un’analisi priva delle solite intemerate sulla sicurezza (che però motivazioni ne hanno, basta passeggiare al Lazzaretto o sui bastioni una sera qualunque), e tanta riflessione in più sugli aspetti socioeconomici della città. Ad esempio, secondo i dati del Mef, Milano ha un reddito medio di 37.204 euro per i soli guadagni da lavoro (gli affitti, appunto, sono esclusi). Roma ha un reddito medio di 10 mila euro inferiore. Ma è interessante come la città policentrica – un mito a "15 minuti" del Beppe Sala 2, esista già: a livello economico. A Quarto Oggiaro si registra un reddito medio di circa 18 mila euro, il più basso di Milano. A Bonola sfiora i 30 mila euro. Invece tra a Brera e il Castello il reddito in media è di 94.500 euro. I contribuenti con più di 120 mila euro dichiarati sono stati oltre 2.300, secondo il Corsera, per un totale di un miliardo e cento milioni di euro. Con due conti della serva si arriva alla cifra monstre del 16,75 per cento di contribuenti con 480 mila euro l’anno di reddito. Il resto è intuibile: CityLife 75 mila euro, Sant’Ambrogio 70 mila. I prezzi delle case sono il riflesso. Chi compra immobili nei quartieri dove la media è quasi 100 mila euro di reddito si può permettere case che arrivano a costare due milioni per tagli neppure eccessivi. Ma c’è anche il rovescio della medaglia. I dati di Aler Milano raccontano che l’azienda di edilizia popolare, che gestisce sia la città che la provincia, ha gettiti minori a causa di una morosità enormemente superiore prodotta dalla città di Milano, più che dai territori limitrofi, tra i quali c’è ad esempio Rozzano. La certificazione della multipolarità socioeconomica milanese. Una delle grandi rivoluzioni che i nuovi vertici di Aler appena nominati (nuovo presidente Matteo Mognaschi, dg Matteo Papagni) dovrebbe essere proprio quella di suddividere in due l’azienda, capoluogo e regione: così sarebbe evidente che Milano non è tutta monolocali da 120 mila euro e affitti da 2.000 in su.
Nello studio di Polis Lombardia, intitolato “Scenari territoriali lombardi”, datato aprile 2023, ci sono dei grafici impressionanti. La tavola 16 mostra l’indice di Gini, ovvero la misura della disuguaglianza nella distribuzione dei redditi. Milano ha un indice altissimo, in linea con l’asse Bergamo-Brescia, tanto che gli studiosi sottolineano come “evidente un fenomeno di concentrazione della ricchezza”. E anche del suo opposto, stando allo studio sulla “Povertà in Lombardia”, dove si evidenzia come Milano abbia una incidenza di individui senza fissa dimora o senza tetto pari a 31 ogni 10 mila abitanti, ovvero oltre il doppio di Cremona (a quota 14). È interessante notare che il 76 per cento di chi non ha una casa non è anziano: ha tra gli 0 e i 54 anni. Esiste una città ricca, una città con un ceto medio che pian piano non si può più permettere di vivere nelle zone centrali, i ceti bassi nei quartieri popolari e poi chi proprio la casa non ce l’ha. Esiste anche chi – come ha proposto Lorenzo Pacini del Partito democratico in Zona 1 – vorrebbe chiudere Area C al traffico di tutti i non residenti dentro l’area suddetta: praticamente una privatizzazione della circolazione di una parte della città. Beppe Sala l’ha subito zittito: mai con me sindaco. Ma è evidente che c’è chi pensa – anche a sinistra! Anzi, guardando i flussi elettorali soprattutto a sinistra – che vivere nella torre d’avorio vuol dire impedire agli altri di entrarci. Una città esclusiva propugnata da chi parla di inclusività.
L’assessore Giancarlo Tancredi, delega all’Urbanistica, non la pensa però così. Parlando con il Foglio spiega: “Mettere in contrapposizione inclusività ed esclusività è solo uno slogan. La verità è che Milano è entrata in una dimensione di rango e ruolo delle più grandi città europee, come Londra e Parigi. E questo vuol dire che è esclusiva come lo sono Londra e Parigi, ma vuol dire anche che dobbiamo lavorare per l’inclusività. Ma non dobbiamo stupirci che oggi la domanda sia forte: l’economia di Milano è forte, disoccupazione assente, e siamo la migliore immagine che il paese può dare al mondo. Il prezzo di questo è alto: attiriamo i redditi alti e i costi salgono di conseguenza. Ma dobbiamo lavorare per far sopravvivere il ceto medio e il ceto medio basso. Questo è quello che vogliamo fare nel nuovo Pgt, ma non ci sono soluzioni rapide. Anzi, vorrei dire che potremmo sperimentare un calo di abitanti nei prossimi anni, ma sull’orizzonte di 5-10 anni li recupereremo”. E per quanto riguarda la città policentrica economicamente? “Milano si è sempre distinta per quello che i francesi chiamano ‘mixitè’. E’ ancora così in molti casi oggi. Ma la domanda vera: sarà ancora così tra qualche anno?”. Ecco, buona domanda. “La risposta è che è difficile fare previsioni. La politica però deve lavorare proprio su questo. Sulla tutela del mix sociale. Perché di questo dovremmo parlare quando parliamo di urbanistica: di sociale. Certo, quando il governo sceglie di non usare l’occasione irripetibile del Pnrr per intervenire sulle periferie di certo non ci aiuta”.
In effetti molte cose sono diventate difficili a Milano. Comprare, affittare. E – udite udite – addirittura costruire. O meglio: avere i permessi per costruire. Tanto che Regina De Albertis, presidente di Assimprendil Ance aveva proposto di aiutare il Comune a reclutare funzionari per evadere le pratiche. “In effetti noi abbiamo pensato a un accordo con la Camera di Commercio – chiarisce Tancredi – per incrementare risorse professionali e poter dare un maggior supporto al Comune che soffre di carenze di organico. Abbiamo avuto un incremento del 40 per cento di pratiche in tre anni. Non è semplice”. Sempre negli studi di Polis c’è una tabella che mostra la distribuzione delle aree dismesse per provincia. Malgrado la sua ridotta estensione, Milano è a quota 34 per cento (Brescia, ad esempio, all’11). Segno che si può andare avanti a costruire. A costruire tantissimo. L’impatto sulle strutture comunali sarà enorme. Costruire tanto, perché Milano sta avendo successo, stando ai prezzi delle case. Sul fatto che il successo sia anche equo, c’è di che dubitarne. E l’equità non è soltanto un concetto etico, sempre a rischio di rimanere astratto: è una delle forze propulsive sociali e anche economiche, per non dire demografiche. Il Consiglio comunale, la maggioranza di governo e tutta la politica forse dovrebbero occuparsi prima di tutto di questo.